Dirigente medico, il ruolo del facente funzione e le differenze retributive

Annosa e, purtroppo, ancora attuale la questione dell’inquadramento giuridico ed economico del dirigente medico a cui, a causa della vacanza del titolare di struttura complessa, sia stato conferito l’incarico di sostituzione temporanea.

Il problema nasce soprattutto dal fatto che, vista l’inerzia delle amministrazioni sanitarie pubbliche nell’attivare, ogni qual volta venga a cessare il rapporto di lavoro del direttore (ad es. per trasferimento in altra sede, pensionamento od altro) le necessarie procedure per la nomina del nuovo responsabile, si tende ad ovviare ricorrendo allo strumento, contrattualmente previsto, della sostituzione temporanea.

Questo istituto nato con il fine, più che legittimo, di consentire una proficua prosecuzione dell’attività della struttura durante il tempo tecnico necessario all’espletamento delle opportune procedure amministrative, ha visto in molti casi tradita la sua mission. Laddove quegli incarichi che, per loro natura, avrebbero dovuto sopperire ad esigenze passeggere hanno assunto nel tempo caratteristiche di stabilità, come dimostrato dal susseguirsi di proroghe pluriannuali.

Le previsioni della contrattazione collettiva

La contrattazione collettiva ha da tempo stabilito una specifica disciplina per regolare queste situazioni prevedendo, giusta art. 18 del CCNL 1998-2001, che il sostituto non possa accedere al trattamento giuridico ed economico corrispondente al ruolo, seppur provvisoriamente, ricoperto. In quanto: “Le sostituzioni previste dal presente articolo non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria. Al dirigente incaricato della sostituzione ai sensi del presente articolo non è corrisposto alcun emolumento per i primi due mesi. Qualora la sostituzione prevista dai commi 1 e 2 si protragga continuativamente oltre tale periodo, al dirigente compete una indennità mensile di euro 535,05 e per la sostituzione prevista dal comma 3 di euro 267,52″.

In continuità con questa previsione, l’ultimo atto pattizio ha introdotto, al suo art. 22 (CCNL 2016-2018), alcune modifiche alla previgente disciplina stabilendo che: “Nel caso che l’assenza del direttore di Dipartimento, del dirigente con incarico di direzione di struttura complessa e del dirigente con incarico di direzione di strutture semplici a valenza dipartimentale o distrettuale, ed in cui il massimo livello dirigenziale sia rappresentato dall’ incarico di struttura semplice sia determinata dalla cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, la sostituzione avviene con atto motivato del Direttore Generale secondo i principi del comma 2 integrati dalla valutazione comparata del curriculum formativo e professionale prodotto dei dirigenti interessati ed è consentita per il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure di cui ai DPR. 483 e 484/1997 ovvero dell’art. 17 bis del D.Lgs. n.502/1992 e s.m.i.. In tal caso può durare nove mesi, prorogabili fino ad altri nove”.

Similmente, ma con qualche modifica, il successivo comma 7 ha poi stabilito che: “Le sostituzioni previste dal presente articolo non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria. Al dirigente incaricato della sostituzione ai sensi del presente articolo non è corrisposto alcun emolumento per i primi due mesi. Qualora la sostituzione dei commi 1, 2, 3 e 4 si protragga continuativamente oltre tale periodo, al dirigente compete una indennità mensile per dodici mensilità, anche per i primi due mesi che è pari a €600,00 qualora il dirigente sostituito abbia un incarico di direzione di struttura complessa e pari a €300,00 qualora il dirigente sostituito abbia un incarico di struttura semplice a valenza dipartimentale o distrettuale ed il cui massimo livello dirigenziale sia rappresentato dall’incarico di struttura semplice”.

La motivazione delle disposizioni

In linea più generale, si deve però rimarcare come la ratio di queste disposizioni, che per l’appunto negano la possibilità di pretendere l’inquadramento giuridico ed economico superiore, potrebbe rinvenirsi proprio nella contingenza del momento, per cui stante l’urgenza e la necessità, da un lato, ed il tempo  ragionevolmente previsto per completare la procedura amministrativa dall’altro, sarebbe  legittimo  l’utilizzo temporaneo di un sostituto per far fronte alla situazione, senza così incidere eccessivamente sull’equilibrio economico esistente.

Proprio a tale fine l’art. 18 comma 4, così come il richiamato art. 22 comma 4, prevedono che, laddove l’assenza sia determinata dalla cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, la sostituzione è consentita soltanto per il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure di cui ai DPR. 483 e 484/1997 ovvero dell’art. 17 bis del d.lgs. 502/1992; nel primo caso per 12 mesi complessivi, nel secondo fino ad un massimo di 18.

È quindi evidente la stretta correlazione fra l’esigenza dell’amministrazione di poter usufruire di un determinato tempo per attivare e completare gli atti necessari al conferimento dell’incarico al nuovo responsabile prescelto, fruendo di un sostituto senza dover correre il rischio di rivendicazioni contrattuali e monetarie: ma tutto ciò entro un limite ragionevole e, comunque, espressamente stabilito di 12 mesi complessivi.

Termini superati, cosa accade?

Ma cosa accade quando i termini previsti dalla previsione contrattuale vengono ampiamente superati, anche arrivando, come registrato in più occasioni, ad incarichi di facente funzione protrattisi per oltre un decennio? In questo caso, non potrebbe configurarsi perlomeno un indebito arricchimento per la PA che, rimasta inerte riguardo al completamento delle procedure di nomina del nuovo responsabile, ha comunque garantite pari prestazioni (e responsabilità), con un costo significativamente minore rispetto a quello che dovrebbe sostenere per il titolare del ruolo?

Una soluzione proposta dalla magistratura di merito

Non più tardi di qualche anno fa, il Tribunale di Roma si è trovato (sent. n. 4657/2018) a decidere una fattispecie del genere, quando un dirigente medico di 1° livello aveva convenuto in giudizio la sua azienda, deducendo di aver svolto, per quasi 12 anni, il ruolo di Direttore Responsabile di Struttura complessa in sostituzione del titolare cessato dal rapporto, percependo soltanto l’indennità prevista dall’art. 18 del CCNL, per cui invocava il pagamento delle differenze retributive con riferimento alle superiori mansioni svolte, nonché il risarcimento delle perdute chance.

Il Giudice di merito, eseguita la ricognizione delle fonti normative e contrattuali dell’istituto del conferimento dell’incarico di direzione di struttura complessa, ha posto inizialmente in evidenza la funzione primaria della sostituzione: quella di consentire, entro un tempo limitato, l’espletamento delle procedure necessarie alla copertura della posizione vacante.

Respinta l’argomentazione, sostenuta dal dirigente ricorrente, per cui avrebbe avuto diritto alle differenze retributive per aver svolto mansioni superiori, così come parimenti ritenuta inapplicabile la disposizione di cui all’art. 2103 del codice civile, il magistrato si è però soffermato sulla circostanza che il pagamento della sola indennità fosse proporzionato al fatto che al sostituto venisse richiesto un maggior impegno per un ristretto e ben definito periodo temporale, non altrimenti potendosi giustificare con il protrarsi dell’incarico per oltre un decennio.

In breve, si è dedotto che in un arco temporale così lungo il ruolo non poteva più considerarsi esercitato per esigenze momentanee, ma che avesse assunto di fatto caratteristiche di pieno incarico, per cui il pagamento della sola indennità per un tempo superiore ai 12 mesi sarebbe stata illegittima, non foss’altro perché priva di qualsiasi previsione normativa a supporto.

Ricorrendo così al disposto di cui all’art. 36 Cost., per cui “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, il Tribunale di Roma, in motivato contrasto con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità (che, invece, negava ogni conforto ritenendo omnicomprensiva l’indennità prevista), ha dunque riconosciuto il diritto del ricorrente a ricevere “una retribuzione proporzionata alla qualità delle responsabilità in fatto assunte in ragione della funzione ricoperta, qualità valutata dalla contrattazione collettiva come richiedente il riconoscimento dell’indennità di struttura complessa unitamente alle restanti proprie della funzione di primario”, con conseguente condanna che, nel caso specifico, ha superato gli oltre 200 mila euro a favore del ricorrente.

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L’azione di indebito arricchimento (ex art. 2041 c.c.): cos’è

Mentre si conferma, anche alla luce dei più recenti arresti giurisprudenziali di Cassazione (di recente, Cass. Civ. Sez. Lav. n. 4983/2022) un orientamento ancora contrario al riconoscimento di maggiori compensi in caso di sostituzione, da più parti si è pensata altresì percorribile, seppur in via residuale, la via dell’azione diretta a dimostrare l’ingiustificato arricchimento da parte dell’amministrazione pubblica che, ricorrendo oltremodo ingiustificatamente a questo strumento, otterrebbe un evidente risparmio di spesa, aggravando la posizione lavorativa del proprio dipendente chiamato a ricoprire, per anni, il posto rimasto vacante, senza venire adeguatamente remunerato.

La domanda di risarcimento per arricchimento senza causa è una domanda ben conosciuta in ambito civilistico ed è prevista dall’art. 2041 e ss del codice civile, allorché si prevede che: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.

Come già sottolineato in precedenza, in tutti quei casi in cui l’incarico di responsabile si protragga ben oltre i limiti previsti dalla contrattazione collettiva, è chiaramente evidente che l’amministrazione sanitaria, nel suo ruolo di datrice di lavoro, verrebbe ad arricchirsi della prestazione del dirigente chiamato alla temporanea sostituzione, lucrando un vantaggio economico pari alla differenza fra l’indennità corrisposta ed il maggior onere che, decorso il termine per il completamento dell’iter amministrativo necessario per la nomina del direttore di ruolo, avrebbe dovuto sostenere per sostenere la contribuzione del titolare del ruolo, ciò potendo costituire un ingiustificata locupletazione in danno del sostituto.

E sotto tale profilo, giova ricordare come la stessa Corte Suprema abbia più volte ribadito come il mero risparmio di spesa e le esigenze di tutela delle finanze pubbliche non possano, in ogni caso, giustificare l’arricchimento senza causa.

 

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