Mansioni superiori? Retribuzione proporzionata ai compiti svolti

La Corte di Cassazione è tornata sul tema riguardante lo svolgimento di mansioni superiori, in tema di pubblico impiego contrattualizzato. Problem solving, interfunzionalità, espletamento di compiti per mansioni superiori rispetto a quelle previste per contratto, devono avere il giusto riconoscimento. A ribadirlo è stata la sentenza n. 1496/2022 della Corte di Cassazione che ha statuito: “lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore”.

Cosa significa “diritto alla retribuzione propria” di mansioni superiori?

In sostanza, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione che parla di “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”, il diritto alla retribuzione propria di mansioni superiori si sostanzia nell’attribuzione di un compenso aggiuntivo rispetto a quello previsto se il lavoratore avesse svolto le funzioni per la qualifica di appartenenza. A chi espleta compiti per mansioni superiori è dovuta la differenza retributiva rispetto alla qualifica per cui ha sottoscritto il contratto. Questo diritto, si puntualizza in sentenza, non è condizionato alla legittimità dell’assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva. Secondo i giudici, cioè, una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, così come previsto dall’art. 36 della Costituzione.

A quali lavoratori si estende questo diritto?

In sentenza e all’interno di questo approfondimento, stiamo parlando di tutti i lavoratori del settore del pubblico impiego, cioè delle seguenti categorie: dirigenti, quadri, impiegati e operai. Quando, invece ci riferiamo alle “mansioni”, per tali intendiamo l’oggetto della prestazione di lavoro, o meglio i compiti che il dipendente pubblico è tenuto ad adempiere per contratto. A dare la giusta importanza alle mansioni superiori è stato il Testo Unico sul Pubblico Impiego, identificato con il d.lgs. n. 165/2001.

Cos’è cambiato con l’introduzione del Testo Unico sul Pubblico Impiego?

È stato chiarito che il lavoratore può essere adibito: alle mansioni per le quali è stato assunto, a quelle equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, oppure alle mansioni corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. Tuttavia – si legge all’interno della normativa – “per obiettive esigenze di servizio, il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

  • nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti;
  • nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza.”

Si badi bene, però che questo non si traduce nel diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica. L’esercizio di mansioni superiore non si traduce nella promozione automatica ed è proprio in riferimento al tipo di retribuzioni di questi casi che si riferisce la sentenza appena annoverata che ha acceso un faro e sancito definitivamente il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore.

Questo principio è applicabile in ambito sanitario?

Assolutamente sì. Consideriamo tutti i casi in cui esiste un rapporto di lavoro tra il personale sanitario SSN e le aziende sanitarie. È possibile, per analogia, applicare tale principio secondo “la responsabilità formale di conduzione di un ufficio (struttura organizzativa) e del lavoro affidato ai collaboratori, con il coordinamento delle attività e l’organizzazione delle risorse assegnate, con responsabilità del raggiungimento dei relativi risultati di produzione.

Cosa si può fare per esercitare questo diritto?

In tutti i casi in cui si configura il tratto distintivo del possibile svolgimento di mansioni superiori, se queste vengono adeguatamente dimostrate, possono condurre ad una legittima richiesta di pagamento delle correlate differenze retributive. Ovviamente si tratta di agire in giudizio. Così, il team legal Consulcesi & Partners è pronto a supportare il personale sanitario in battaglie simili, per il riconoscimento del diritto ad una retribuzione equiparata alla mansione svolta, garantendo un’assistenza puntuale e qualificata che possa rispondere alle esigenze di ogni cliente.

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