Dirigente medico: sostituzione e mansioni superiori

Con il D. Lgs. n. 502/1992 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421” è stato disciplinato il rapporto di lavoro dei medici del Servizio sanitario nazionale. A questa normativa di carattere generale devono aggiungersi le disposizioni del Contratto collettivo nazionale dell’Area dirigenziale “Sanità” (ultimo CCNL quello per il triennio 2016/2018, sottoscritto il 19/12/2019).

Da queste normative si evince che la collocazione nella “dirigenza “per i medici della sanità pubblica ha effetti non solo sull’autonomia della prestazione e sul riporto gerarchico all’interno delle strutture sanitarie, ma anche sul regime del trattamento economico e degli istituti connessi e tra questi rientra indubbiamente anche la questione delle mansioni superiori e dell’indennità sostitutiva che, in alcune aziende, sono sovente un modus operandi che di fatto procrastina nel lungo termine l’assegnazione del ruolo all’effettivo destinatario e pone in una condizione di disagio lavorativo il sostituto.


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Le ultimissime novità sul tema

Tra le novità dell’ultima ora, la Corte di Cassazione si è espressa con ordinanza n. 21921 dell’11 luglio 2022.

I Giudici hanno respinto l’obiezione formulata dalla ASL che, volendo giustificare il mancato riconoscimento delle mansioni superiori ad un proprio dipendente con la qualifica di Dirigente Sanitario, deduceva di non avergli mai conferito l’incarico formale di responsabile amministrativo del presidio ospedaliero, così negando il proprio obbligo al pagamento del differenziale retributivo reclamato.

 


La Corte ha ribadito che “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001 non è condizionato alla legittimità né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”.


Dunque, alla Asl non resta che pagare le differenze retributive agli eredi del medico, medio tempore deceduto, per aver ricoperto la funzione di responsabile amministrativo del presidio ospedaliero, con conseguente condanna alla refusione delle spese di lite.

Una pronuncia che va in controtendenza, ma che sottolinea la proporzionalità tra retribuzione e mansione svolta

Fino al  15 febbraio 2022, la Cassazione con le sentenze n. 4984 e n. 4983, pubblicate lo stesso giorno, disegnava un quadro legislativo che non consente di estendere ai dirigenti pubblici in generale norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale, compresa la disciplina delle mansioni superiori. Così come aveva stabilito anche un’altra recente sentenza, la n. 26618 del 18 ottobre 2019,  con cui la Corte di Cassazione era tornata sul concetto di dirigenza e, in particolare, sull’ applicabilità alla dirigenza medica dell’art. 2103 c.c.

In quel caso, la Suprema Corte aveva evidenziato che:


“la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale … non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c.”.


L’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 c.c. discenderebbe dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, secondo i Giudici, non esprime una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato.

In virtù del fatto che l’inquadramento dei dirigenti è unico e la distinzione tra il personale medico si fonda sulla tipologia di incarico conferito, allora non è più possibile parlare di conseguimento di una qualifica superiore in virtù delle mansioni svolte. Ciò significa che l’incarico non rappresenta più un diritto intangibile, ma il suo mantenimento è subordinato al positivo superamento delle valutazioni periodiche.  Non essendo configurabile lo svolgimento di mansioni superiori in caso di sostituzione nell’ incarico di dirigente medico, non può di conseguenza trovare applicazione l’art. 2103 c.c.

Al medico sostituto non spetterà il trattamento accessorio del sostituito, ma solo l’indennità sostitutiva prevista dal CCNL, tuttavia non si può prescindere dal diritto alla retribuzione proporzionato al lavoro effettivamente svolto (vedi ultima pronuncia).

Il principio di equivalenza formale delle mansioni

Dal 1999, con la modifica all’art. 15, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, i dirigenti sanitari sono inquadrati in un ruolo unico, articolato per profili e rispetto a essi vale un principio di equivalenza formale delle mansioni, pur potendosi manifestare posizioni di relazione gerarchica e differenze retributive in ragione della complessità e articolazione dei possibili incarichi (Cass., ordinanza 16 marzo 2022, n. 8561).

Ai medici non sono ascrivibili “mansioni” e per “incarichi” e perciò, in virtù della legislazione attuale, al netto dei casi specifici, al dirigente medico sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma almeno la prevista indennità cd. sostitutiva, per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost. (Cass., ordinanza 19 agosto 2021, n. 23156).

 

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