Prima di occuparci del contenuto della comunicazione prevista dall’art. 13 della L. n. 24/17 “Legge Gelli”, ossia della lettera con cui l’Azienda Sanitaria informa il proprio dipendente dell’avvenuta ricezione di una richiesta di risarcimento relativa ad un fatto che lo riguarda, occorre definire che cosa si intende per danno erariale.
In estrema sintesi, il danno erariale rappresenta il danno (sia esso materiale che economico) provocato allo Stato da comportamenti imputabili a:
della Pubblica Amministrazione o di società da questa controllate.
I danni possono essere di duplice natura:
Inoltre, il danno erariale può essere definito:
Le conseguenze di una possibile condanna per danno erariale sono estremamente rilevanti dal momento che, in caso di riconosciuta colpa grave, il sanitario può essere tenuto al pagamento di una somma pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda conseguita nell’anno in cui si è verificata la condotta che ha prodotto l’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, oltre alla sanzione accessoria del diniego di ricevere incarichi professionali per i 3 anni successivi dal passaggio in giudicato della sentenza e la valutazione della condanna nei pubblici concorsi.
Con l’entrata in vigore dei precetti contenuti nella Legge Gelli e, in particolare, con l’art. 13 è stato introdotto l’obbligo per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private, nonché per i rispettivi istituti assicuratori, di inviare all’esercente la professione sanitaria una comunicazione formale – a mezzo Pec o R.R. – per informarlo del fatto che sono in corso delle trattative con il paziente danneggiato, o che l’azienda ha ricevuto la notifica di un atto giudiziale relativamente ad un trattamento da lui compiuto oppure omesso.
Da sottolineare che l’eventuale omissione, tardività o incompletezza di questa comunicazione comporta, per l’Azienda sanitaria, la non irrilevante conseguenza della decadenza delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa, potenzialmente attivabili nei confronti del sanitario all’esito di una eventuale liquidazione con danaro pubblico.
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Ciò che prima rappresentava il tratto finale e (soprattutto) eventuale di un lungo percorso, è stato posto ora in una fase piuttosto anticipata, ora che la situazione, anche in ragione della contrazione della tempistica degli adempimenti previsti dalla norma, risulta generalmente nebulosa, mancando (verosimilmente) ogni certezza sia su quanto accaduto, che sulle effettive responsabilità di coloro che hanno avuto in cura il paziente durante la degenza ospedaliera.
Tutto questo con l’ulteriore aggravio per cui il possibile decorso del breve termine (soltanto 45 giorni) concesso all’azienda per la comunicazione al sanitario dipendente determina l’inammissibilità della successiva azione di rivalsa, con ovvie ripercussioni, sempre a titolo di danno erariale, a carico di coloro che fossero incorsi in responsabilità per aver fatto spirare il termine senza colpevolmente attivarsi.
La ristrettezza del termine, lo scarso numero di risorse amministrative, la complessità dei flussi gestionali dei comitati di valutazione rischi insediati presso le strutture sanitarie hanno quindi comportato l’inesorabile ricorso ad una gestione “cautelativa” di fase procedimentale, con un quantitativo davvero imponente di comunicazioni a tutti gli operatori che, in qualsiasi modo, possono aver partecipato al trattamento incriminato dal paziente asseritamente danneggiato.
Basta leggere le indicazioni operative fornite da alcuni organi rappresentativi alle strutture sanitarie pubbliche e private sugli obblighi scaturenti dall’applicazione dell’art. 13 della L. Gelli, per accorgersi che il timore di incorrere nella prevista decadenza ha assunto carattere prioritario su qualsiasi flusso di valutazione del sinistro, rendendo praticamente automatico il ricorso alla comunicazione a chiunque risulti potenzialmente coinvolto nel denunciato caso di malpratice, in taluni casi giungendo addirittura a rinnovare l’informativa per ogni successivo ed ulteriore accadimento.
Da tempo, Consulcesi&Partners si è fatta carico della questione a causa delle numerose segnalazioni provenienti da molti medici che lamentano di aver ricevuto, nel giro di poco tempo, diverse comunicazioni ex art. 13 dalla loro Azienda, con conseguenti disagi professionali e psicologici.
In alcune occasioni, la comunicazione è talmente laconica da lasciare il destinatario privo di qualsiasi strumento utile per comprendere quanto sta accadendo, mentre in altre occasioni si giunge addirittura a presagire, con assoluta intempestività, una possibile responsabilità per danno erariale, ancora tutta da apprezzare finanche da parte dei comitati di gestione del rischio interni all’azienda.
Senza contare poi, di alcune missive in cui, oltre al contenuto previsto dall’art. 13 della L. Gelli, viene addirittura richiesto al sanitario dipendente di comunicare all’Azienda, e con celerità, i dati della propria polizza assicurativa di responsabilità professionale, senza specificare la motivazione di siffatta richiesta e, quindi, impedendo al destinatario ogni valutazione di legittimità della stessa.
Peraltro, alla comunicazione si aggiunge, generalmente in calce, l’invito a partecipare alle trattative ovvero, nel caso di pervenimento dell’atto giudiziario, direttamente al contenzioso, senza però fornire la minima delucidazione circa le importanti e spesso decisive conseguenze processuali e giuridiche che una tale partecipazione può comportare.
Inoltre, con questa modalità, si viene a conoscenza (soprattutto quando viene allegato l’atto giudiziale introduttivo notificato dal legale del paziente) del potenziale coinvolgimento di altre figure professionali della propria o di altrui strutture sanitarie, con conseguenti ripercussioni sia in termini di tutela della privacy, che dell’onorabilità professionale personale e di altri soggetti.
Infine, si rammenti che per prevenire una comunicazione come questa, assume decisivo rilievo anche in termini assicurativi, venendo a costituire quello che, nel mondo delle polizze di responsabilità professionale sanitaria e per colpa grave, viene definito “fatto noto”.
Infatti, qualora avesse in corso una polizza di Responsabilità Civile per colpa grave, il sanitario dovrebbe comunque mettere a conoscenza la propria Compagnia assicurativa di tutte le comunicazioni ricevute così come, durante le trattative per la sottoscrizione di un nuovo contratto, dovrebbe compilare il predisposto questionario, notiziando puntualmente il futuro assicuratore dell’esistenza di queste potenziali pendenze.
È fin troppo evidente che, nel secondo caso, l’assicuratore potrà agevolmente proporre un prodotto, che esclude la copertura per i “fatti noti”, ovvero valorizzare adeguatamente il maggior rischio con un congruo aumento del premio proposto, mentre nel primo potrebbe usufruire della prima scadenza contrattuale utile per risolvere (come sta accadendo) la polizza in corso, confidando nel fatto che la semplice comunicazione ex art. 13 della L. n. 24/17 non costituisce sinistro a termini di contratto, per poi opporre l’inefficacia della copertura quando pervenga (spesso alcuni anni dopo) la notizia dell’effettiva apertura della procedura contabile.
Al professionista sanitario che venisse raggiunto da comunicazioni formali ex art. 13 della L. Gelli si deve quindi suggerire una condotta accorta e prudente per cui, anziché lasciarle senza seguito, è opportuno ricorrere alla consulenza di un legale specializzato nel settore:
In ogni caso, ricorrere all’ausilio di un legale ed eventualmente di un medico legale è auspicabile quantomeno per elaborare, con congruo anticipo, una o più possibili strategie difensive, raccogliendo tutta la documentazione, le testimonianze ed ogni altro elemento probatorio utile alla difesa, in vista di un’eventuale richiesta formale di rimborso per danno erariale, senza correre il rischio di dimenticare, magari a causa del tempo trascorso, elementi probatori che potrebbero poi rivelarsi decisivi nel giudizio di rivalsa.