L’incidenza delle linee guida nei giudizi di responsabilità medica

Per quello che riguarda la responsabilità civile, le linee guida possono definirsi, secondo quanto riportato sulla rivista PubMed del 1992, come “Le raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante processo di revisione sistematica della letteratura e delle opzioni scientifiche, con lo scopo di aiutare i medici ed i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”.

In buona sostanza, quale che sia la definizione assunta dal mondo sanitario, la nozione generalmente utilizzata racchiude tutte le regole di condotta generalmente condivise e quindi osservate dalla comunità scientifica internazionale.

Il richiamo normativo alle Linee Guida

La legge n. 24/17 fa riferimento alle linee guida in diverse sue disposizioni, tra le quali viene in rilievo l’art. 5 che, con riferimento alla valutazione della condotta che debbono tenere gli esercenti delle professioni sanitarie, declina le modalità con cui le stesse devono essere “codificate” nell’ambito del più ampio processo di istituzione del Sistema Nazionale delle Linee Guida (SNLG).

Nel campo della responsabilità civile sanitaria, l’espressione linee guida fece il suo debutto nell’art. 3, comma 1, del D.L. 189/2012 che, di fatto, imponeva all’esercente la professione sanitaria di attenersi alle linee guida ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Questa definizione, di per sé piuttosto generica, non comportava un particolare scostamento rispetto ai principi regolatori della colpa medica fino a quel momento vigenti, pur declinando in modo più specifico l’impianto scientifico a cui fare riferimento nella valutazione della condotta sanitaria.

Con l’adozione dell’art. 5 della L. n. 24/17, si è invece volutamente ricercata una maggiore chiarezza dei contenuti, provando a realizzare un sistema di parametri che descrivessero, nel modo più puntuale possibile, gli atteggiamenti che era lecito attendersi dai professionisti della Sanità nella gestione dei casi concreti.

In buona sostanza si tratta, come peraltro affermato dagli stessi Giudici di legittimità (Cass. n. 419/19), del tentativo del legislatore di creare un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate. Del pari riconosce che lo stesso professionista ha la legittima, coerente pretesa di veder giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli.

 

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Il ruolo delle Linee Guida nell’accertamento della responsabilità sanitaria

Questo sistema, tendente (per quanto possibile) alla oggettivizzazione della condotta, dovrebbe quindi consentire una ricostruzione, sempre più analitica e aderente alla realtà, di tutta la filiera delle prestazioni, e quindi dei rispettivi agenti, che possono rintracciarsi in un trattamento sanitario, verificandone la conformità rispetto a standard quantitativi e qualitativi predefiniti.

Per questo motivo, in luogo dell’ampia definizione contenuta nel decreto Balduzzi, la L. n. 24/17 ha introdotto una triade composta da linee guida, buone pratiche e raccomandazioni, a cui l’esercente della professione sanitaria deve attenersi per andare esente da giudizi di responsabilità a suo carico.

In realtà, che il medico debba rispettare questi parametri è già espresso, seppur in modo implicito, nel disposto di cui all’art. 1176 c.c. che, dopo aver affermato che il debitore deve comportarsi in modo diligente quando adempie l’obbligazione a cui è tenuto, al secondo comma specifica che, quando si tratti di soggetto professionale, costui deve attenersi alla diligenza del professionista qualificato.

Il debitore qualificato è, esemplificando, il professionista “medio” appartenente a quella categoria, dove però per medio non si intende “mediocre”, ovvero colui che ha le competenze di base ma, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (Cass. n. 30999/2018), quello davvero “bravo”, ossia massimamente preparato, aggiornato e che, se necessario, approfondisce scrupolosamente l’intero quadro clinico del paziente per raggiungere un ottimale risultato di cura.

Proprio per creare questo archetipo di medico bravo, si è quindi provato nel tempo ad individuare parametri, sempre più definiti ed oggettivi, cui ancorare la valutazione del comportamento dell’esercente la professione sanitaria, ora confluita nella “codificazione” declinata dall’art. 5 della n. 24/17.

In caso di malpractice: cosa succede?

Le linee guida diventano così una sorta di vademecum per i professionisti della sanità, mentre costituiscono, in caso di contenzioso per malpratice medica, il parametro cui deve ancorarsi la valutazione medico legale e, per ciò solo, quella del giudice al momento della decisione finale.

Il formarsi di un archivio di linee guida produrrà, via via che lo stesso verrà sempre più implementato, qualcosa che, per certi versi, potrebbe essere considerato una sorta di integrazione normativa, che va a determinare, più analiticamente possibile, il contenuto delle regole di condotta a cui deve attendersi il professionista sanitario.

Di tale avviso appare anche la Corte di Cassazione che, in un recente pronunciamento (Cass. n. 13510/22) è giunta ad affermare che, in tema di responsabilità sanitaria per attività medico-chirurgica; “il cosiddetto “soft law” delle linee guida – pur non avendo la valenza di norma dell’ordinamento – costituisce comunque espressione di parametri per l’accertamento della colpa medica, che contribuiscono alla corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella legale disciplinata da clausole generali, quali quelle contenute negli artt. 1218 e 2043 c.c.”.

V’è però da dire che, sempre secondo la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 30998/2018), le linee guida non devono considerarsi una barriera insuperabile dal momento che, sebbene necessarie in tema valutazione della responsabilità del clinico, rappresentano soltanto uno dei criteri di apprezzamento, senza alcuna rigidità applicativa.

In linea di principio, una condotta conforme al loro contenuto sarà considerata diligente, mentre risulterà negligente qualora sia contraria, ma ciò non significa che un comportamento divergente da quanto previsto dalle linee guida dovrà, per ciò solo, considerarsi colpevole qualora, dalla disamina del caso concreto, emergessero peculiarità tali da giustificare la mancata osservanza.

Analogamente un comportamento coerente con le linee guida potrebbe essere comunque sanzionato a titolo di colpa, perché contrario all’atteggiamento che si sarebbe dovuto mantenere nel caso concreto, laddove veniva suggerito di discostarsene.

Considerazioni finali: il delicato ruolo del professionista sanitario

In ogni caso, rimane il fatto che il medico, che prima era (almeno in linea di principio) pienamente libero in scienza e coscienza di attuare la scelta terapeutica ritenuta migliore, si trova ora al bivio fra il rispetto delle Linee Guida accreditate (per quanto non aggiornate od allineate al sapere scientifico medio tempore raggiunto), nel tentativo di andare esente da colpe, e la violazione delle stesse per aderire a quelle più corrette secondo “coscienza e conoscenza professionale”, ma rischiando di trovarsi per ciò solo in colpa.

Peraltro, questo rischia di appiattire, ancora di più, l’attività del professionista sanitario che, consapevole che la condotta conforme alle linee guida, è quella che, almeno percentualmente, lo potrà garantire da attacchi esterni, potrebbe essere tentato di seguirla acriticamente.

Allo stesso bivio si potrebbe trovare anche il paziente che, per contro, mantiene pur sempre il diritto di pretendere dal medico le migliori cure possibili che, di fatto, ricomprendono anche quelle non ancora declinate nell’archivio nazionale, ma magari riconosciute come potenzialmente benefiche da una parte della comunità scientifica internazionale, con conseguente ripercussioni in termini di responsabilità qualora non gli vengano propugnate o quantomeno prospettate quale alternativa terapeutica possibile.

A tutto questo, sembra però rispondere con adamantina chiarezza un remoto arresto giurisprudenziale (Cass. 24455/2015), secondo il quale il concetto di libertà della scelta terapeutica del medico “è un valore che non può essere compromesso a nessun livello né disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti”.

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