Cause di responsabilità professionale: il rimborso delle spese processuali spetta all’assicurazione

Nell’ottica di voler dare un servizio sempre più puntuale a coloro che si trovassero coinvolti in dispute relative alla responsabilità professionale è utile segnalare in questa sede una recentissima pronuncia resa dalla terza sezione della Corte di Cassazione n. 21220/22 che, di fatto, segna un ulteriore passo in avanti nella dibattuta questione del diritto dell’assicurato ad ottenere dal proprio assicuratore il rimborso delle spese processuali sostenute per difendersi in una lite.


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Le spese da sostenere per difendersi in giudizio

Quando ad esempio i medici sono accusati da un paziente per un presunto caso di malpractice, si trovano spesso nella sgradevole situazione di dover sostenere le spese processuali per difendersi, anticipando i compensi di avvocati e consulenti tecnici di parte, senza poter attribuire questi costi all’assicuratore che sarebbe tenuto a manlevarli da tali oneri in base ai termini di polizza.

In caso di condanna del medico, la compagnia lo tiene indenne dal pagamento del risarcimento dovuto al paziente danneggiato e dalle spese di lite, ma il sanitario viene a subire comunque un tangibile danno economico, pari all’esborso complessivamente sostenuto per essersi dovuto difendere in giudizio affidando l’incarico ad un legale di propria fiducia, che quasi sempre si fa supportare da un medico-legale ed eventualmente anche da uno specialista della sua branca (c.d. spese di resistenza).

 

Il caso portato innanzi alla Corte di Cassazione

La sentenza 21220/22 si è occupata proprio di questa specifica questione, allorché veniva impugnata la pronuncia della Corte di Appello di Milano che aveva respinto la domanda dell’assicurato, negando il rimborso delle spese di resistenza sul presupposto che il testo di polizza escludeva tale evenienza qualora gli avvocati o i periti non fossero stati designati dall’assicuratore.

Inoltre, la stessa pronuncia affermava che tale clausola fosse perfettamente legittima, alla luce delle previsioni dell’art. 1917, terzo comma del Codice civile, essendo tale norma derogabile per volontà delle parti.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’assicurato sostenendo la nullità della clausola per contrarietà all’art. 1917, terzo comma del Codice civile e per aver erroneamente ritenuto che la stessa fosse derogabile per espressa volontà delle parti, sviluppando, in modo alquanto chiaro e pertinente le ragioni a sostegno della decisione adottata.

Difatti, partendo dal dato normativo, si è osservato che l’art. 1917, terzo comma del Codice civile, stabilisce che “le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata“, mentre il successivo art. 1932, primo comma del Codice civile prevede che “le disposizioni degli artt. (…) 1917 terzo e quarto comma (…) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all’assicurato“.

La chiarezza lessicale delle due richiamate disposizioni normative non lascia quindi alcun margine di dubbio. Non vengono poste condizioni al diritto dell’assicurato di ottenere il rimborso delle spese di resistenza, per cui la clausola (peraltro spesso presente nei contratti assicurativi della responsabilità civile professionale), che dovesse condizionare il rimborso delle spese di resistenza all’approvazione dell’assicuratore, verrebbe a costituire una deroga peggiorativa all’art. 1917 del Codice civile e pertanto illegittima.

 

Il consolidamento della giurisprudenza sul rimborso delle spese di resistenza

Questa pronuncia sintetizza in modo preciso quanto già statuito dalla stessa sezione della Corte in un precedente giudizio (Cass. Civ. Sez. III n. 10595/2018) nell’ambito del quale, motivando più diffusamente le proprie scelte era giunta alle medesime conclusioni, attestando così un consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale in merito.

In quella sede, venivano infatti spietate le ulteriori garanzie cd. “accessorie” presenti in una tipica polizza di responsabilità civile professionale, così illustrando la portata (spesso misconosciuta anche da molti professionisti del settore) dei principi generali sanciti in materia dall’art. 1917 del Codice civile.

L’assicurato ha diritto ad ottenere, oltre alla copertura del risarcimento del danno provocato a terzi, la refusione delle seguenti spese processuali:

  • quelle affrontate dal danneggiato durante il giudizio (“spese di soccombenza”)
  • quelle sostenute per difendersi (“spese di resistenza”) dalla domanda formulata dal danneggiato nei suoi riguardi
  • quelle liquidate per la chiamata in causa dell’assicuratore per veder attivata la copertura prevista dalla polizza di responsabilità civile professionale

Mentre le “spese di soccombenza” vengono ricondotte, a buon diritto, nell’ambito delle possibili conseguenze dell’atto illecito commesso, per cui l’assicurato ha diritto ad ottenerne il rimborso nei limiti del massimale complessivamente pattuito in polizza; le “spese di resistenza” rientrano nella categoria delle cosiddette “spese di salvataggio”, appositamente previste dall’art. 1914 c.c., e pertanto, se espressamente richieste con apposita domanda nell’ambito delle conclusioni rassegnate nel proprio atto di chiamata in causa, rendono efficace l’ulteriore garanzia prevista dall’art. 1917, comma terzo del Codice civile, con conseguente obbligo dell’assicuratore al rimborso nella misura del quarto del massimale complessivamente previsto dal contratto assicurativo.

Le spese per la chiamata in causa, invece, non costituiscono né spese di soccombenza, né spese di salvataggio, ma rientrano nelle “spese processuali comuni”, per cui sono soggette alla regolamentazione prevista dagli artt. 91 e 92 del codice di procedura civile, dacché saranno dovute dall’assicuratore nel rispetto del principio della soccombenza processuale applicata al solo rapporto di garanzia.


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