Contratti a termine: il precariato nella sanità pubblica

Dopo anni di emergenza sanitaria dovuta al dilagarsi del Covid-19 e mentre – almeno così pare – non siamo più in stato di emergenza e pian piano ricominciamo a pensare a riacquistare le abitudini quotidiane, un’altra urgenza cresce sempre di più. Con quale idea di Sanità verranno spesi gli oltre 8 miliardi di fondi previsti per il Fondo Sanitario Nazionale per i prossimi tre anni? È chiaro che già una parte saranno destinati all’edilizia e al rimodernamento digitale delle strutture sanitarie, ma poco viene detto sul fronte del personale che vi lavorerà. La paura più grande che si teme è che il Servizio Sanitario Nazionale ne esca fuori con le ossa rotte a causa di problemi strutturali e già noti.

Carenza di personale, assenza di strutture e di coordinamento territoriali, deficit nell’organizzazione del sistema di emergenza-urgenza sono solo alcune delle esigenze che vengono annoverate con maggior frequenza e che possono riassumersi in una sola espressione: il precariato nella sanità pubblica. Una situazione che in maniera repentina ha mostrato tutti i nodi al pettine a causa della situazione emergenziale che ha allungato le liste d’attesa, i rinvii di interventi chirurgici considerati minori, l’accesso alle cure per i pazienti più fragili. Nel frattempo è bastato lo spettro di una grande guerra alle porte dell’Europa a far rimettere sul piatto della discussione decine di miliardi di soldi pubblici per aumentare le spese militari.

Consulcesi & Partners ha esperienza anche nell’ambito del precariato nella sanità pubblica e dell’utilizzo abusivo dei contratti a termine. Puoi contattarci in ogni momento: siamo sempre disponibili per fornire tutte le informazioni che hai bisogno e per guidarti tra normative e diritti.

Le richieste dei Sindacati

Nel Lazio, i Sindacati e la Regione hanno raggiunto e siglato degli accordi e questa pare sia una buona notizia, anche se rimane l’incertezza sul quando verranno concretizzati tali accordi. Nel frattempo, le richieste sindacali e in particolare della CGIL sono state finalizzate a poter visionare la reale consistenza complessiva di lavoro precario all’interno della ASL, compresa ogni forma di “lavoro flessibile” e “atipico” per poter avviare e definire le dovute e necessarie stabilizzazioni/internalizzazioni del personale. Inoltre, è stata rappresentata la necessità di revisionare, aumentandolo, il fabbisogno del personale contemperando le complesse necessità derivanti dall’esigenza di potenziare l’offerta sanitaria, superando il vincolo dei tetti di spesa.

La stabilizzazione dei precari in sanità

L’esigenza principe è delineata ormai da anni ed è quella della stabilizzazione dei precari in sanità, un’essenziale svolta che si attende da molto tempo, sottolineata in maniera più aggressiva dall’emergenza pandemica. Con questa espressione, si fa riferimento a tutti quei meccanismi, previsti dall’ordinamento italiano, attraverso i quali i c.d. precari, ossia i lavoratori che prestano la propria attività professionale con un contratto “a termine” (o comunque “flessibile”), acquisiscono la posizione di lavoratori a tempo indeterminato ed indefinito presso l’ente per il quale essi prestano servizio. Essi dunque, a partire da quel momento, non saranno più sottoposti al rischio di non vedersi più riconfermato il proprio incarico lavorativo presso l’Amministrazione, una volta scaduto il contratto. L’attuale disegno di legge contiene 219 articoli, che spaziano dalla riduzione della pressione fiscale e contributiva, alle misure di crescita e alle misure per l’accesso alla liquidità delle imprese, passando attraverso le disposizioni su famiglia, lavoro e politiche sociali, e molto altro ancora. L’aspetto che più ci interessa e che si presenta correlato alla stabilizzazione precari Covid è contenuto attualmente all’articolo 92, che è appunto intitolato “proroga dei rapporti di lavoro flessibile e stabilizzazione del personale del ruolo sanitario”. L’art. 92 introduce delle misure espressamente finalizzate a rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza, anche al fine della stabilizzazione precari Covid. Le misure di cui parliamo sono essenzialmente di due tipi, e precisamente:

  • Misure in favore dei Medici Specializzandi;
  • Nuova stabilizzazione “a termini ridotti” (possiamo anche chiamarla stabilizzazione semplificata o abbreviata) rispetto alla figura disciplinata dal Decreto Madia (d.lgs. n. 75 del 2017).

A prescindere dalla normativa di riferimento, il tema si fa rovente ed ha necessità di essere risolto. Pare che qualcosa si muova in questa direzione.

Il danno da reiterato utilizzo dei contratti a termine

L’utilizzo abusivo dei contratti a termine e l’inerzia nell’indizione dei concorsi pubblici è costata molto cara in tutti questi anni allo Stato italiano, costretto come oramai noto a risarcire migliaia di lavoratori precari. È necessaria una vera e propria presa d’atto e la fine allo sfruttamento dei lavoratori precari da parte della Pubblica amministrazione, attraverso una vera attuazione all’art. 36 del D.lgs. 165/2001 che prevede “l’utilizzo di contratti a termine da parte della Pubblica amministrazione solo per esigenze temporanee ed eccezionali”.

Tra l’altro, sono molte le pronunce giurisprudenziali che stabiliscono il danno da illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione. In particolare, con sentenza n. 29920 del 25 ottobre 2021, la sezione lavoro della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, enunciando il principio secondo cui “nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno”. Dando poi atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile – e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari – le Sezioni Unite hanno ritenuto incongruo il parametro di cui all’art. 18, L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) perché per il dipendente pubblico a termine non c’è la perdita di un posto di lavoro. Si è fatto invece riferimento all’art. 32, comma 5, della L. 4 novembre 2010, n. 183, che riguarda il risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine, individuando in quest’ultima disposizione un parametro idoneo allo scopo considerato, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori. Il principio ha trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018, oltre che nella costante giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 2021, n. 2980; Cass. civ., sez. un., 2 agosto 2017, n. 19165). Un’altra pronuncia ha riguardato le conseguenze derivanti dalla abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato. In particolare, l’ordinanza n. 22458 del 6 agosto 2021, la sesta sezione civile, sottosezione lavoro della Corte di Cassazione ha indicato le conseguenze derivanti dalla abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato. Con questa pronuncia, nell’impiego pubblico contrattualizzato la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione di lavoratori non può mai comportare la costituzione di rapporti a tempo indeterminato. Detto orientamento ha valorizzato i principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un. 15 marzo 2016, n. 5072), dalla Corte Costituzionale (sent. 13 marzo 2003, n. 89) e dalla Corte di Giustizia (sentenza 7.9.2006 causa C-53/04 Niarrosu e Sardino) per escludere profili di illegittimità costituzionale e di contrarietà al diritto dell’Unione del divieto di conversione ed ha trovato ulteriore avallo nella più recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. 27 dicembre 2018, n. 248) e della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16, Santoro), che, da un lato, ha ribadito l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, dall’altro ha riaffermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purché sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine.

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