Mansioni superiori nel pubblico impiego: come richiedere le differenze retributive

Una delle questioni che viene ripetutamente denunciata dal mondo sanitario pubblico riguarda lo svolgimento di prestazioni superiori rispetto all’inquadramento contrattuale assunto, senza aver ricevuto il corrispondente compenso economico da parte dell’azienda che peraltro, talvolta, richiede queste maggiori e diverse prestazioni senza ricorrere a formalizzazioni dell’incarico.

L’accertamento giudiziale dello svolgimento delle mansioni superiori

In questo ambito, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ripetuto che l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori deve essere effettuato avendo riguardo all’atto di macro-organizzazione aziendale, ossia a quel provvedimento di portata generale con cui l’amministrazione ha articolato la propria struttura organizzativa, utilizzando i profili professionali siccome stabiliti dalla disciplina derivata dalla contrattazione collettiva.

Questo significa che, nel pubblico impiego contrattualizzato, non è consentito al datore di lavoro assegnare autonomamente ai propri dipendenti inquadramenti difformi rispetto a quelli previsti dalla normativa pattizia, né tantomeno attribuire riconoscimenti economici diversi venendo in rilievo materie espressamente devolute alla contrattazione collettiva.

La rilevanza dell’art. 36 della Costituzione

Questo però non significa che l’iniziativa aziendale, che abbia comportato l’assunzione di maggiori oneri da parte del dipendente pubblico sia irrilevante, in quanto a colui cui siano state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori, in conformità alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve essere corrisposta una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. Questo principio deve trovare sempre e comunque applicazione, a prescindere dalla legittimità del comportamento datoriale e del rispetto dei formalismi imposti all’attività della pubblica amministrazione.

Proprio in tal senso, si è espressa (ord. n. 2277/21) la stessa Corte di Cassazione affermando che “il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (Cass. n. 19812 del 2016; Cass. n. 18808 del 2013), sicchè il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266 del 2016; v. pure Cass. n. 30811 del 2018)”.

Assenza dell’atto formale di assegnazione alle mansioni superiori

In molte occasioni lo svolgimento delle mansioni superiori da parte del dipendente pubblico si verifica senza che ciò sia stato preventivamente indicato da un atto formale proveniente dal datore di lavoro: cosa accade in questi casi?

I giudizi di merito hanno talvolta negato il riconoscimento economico al lavoratore in virtù di una rigorosa interpretazione dell’art. 52, comma 5, del d. lgs. n. 165/2001, per cui il diritto al trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore implicherebbe, sempre e comunque, l’effettivo riscontro di un provvedimento formale di assegnazione alle mansioni superiori, anche se illegittimo.

Vi è però da dire che la Corte di Cassazione si è anche espressa diversamente (ord. n. 1496/22) osservando che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la rilevanza delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative a livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico non impedisce l’applicazione della disciplina relativa all’esercizio dell’espletamento di fatto di mansioni superiori. Questo significa che, ai fini del riconoscimento del corrispondente trattamento economico, non è necessaria la prova dell’effettiva adozione dell’atto formale di conferimento dell’incarico superiore, essendo invece dirimente l’allegazione e la prova delle mansioni assegnate, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite.

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Il caso concreto del medico con posizione organizzativa

Di recente la Corte di Cassazione ha affrontato, nell’ordinanza n. 21921/22, il caso di un medico che, già dipendente di una ASL inquadrato in categoria DS, aveva svolto per un triennio funzioni dirigenziali, richiedendo così il pagamento delle conseguenti differenze retributive.

Durante il periodo in questione, il sanitario aveva ricevuto un incarico di posizione organizzativa, con relativa assunzione di poteri sia spesa, tanto che ogni trimestre forniva la rendicontazione degli esborsi sostenuti autorizzando il servizio bilancio dell’ASL alla reintegrazione dei fondi spesi, sia di comando verso il personale ospedaliero assegnato. Accolta la pretesa del medico in sede di appello, la sentenza veniva impugnata dalla ASL deducendo sia l’erronea valutazione della Corte dell’attività effettuata dal dipendente, che avrebbe potuto svolgersi tanto da parte di un dirigente tanto di un dipendente Ds munito di posizione organizzativa, sia il mancato riscontro del prevalente impegno dirigenziale, obiettando infine l’assenza di un incarico formale ai sensi dell’art. 52 del D. lgs. n. 165/2001.

Riconosciuta la correttezza dell’apprezzamento giudiziale riguardo al ruolo dirigenziale concretamente assunto dal dipendente nel triennio di riferimento, la Corte ha altresì aggiunto, rispetto alla rilevata mancanza dell’incarico formale, che “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001 non è condizionato alla legittimità né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”.

Ne consegue allora che, come ribadito in altri pronunciamenti, nel pubblico impiego contrattualizzato il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non può essere vincolato all’effettivo riscontro dei presupposti di legittimità rispetto all’assegnazione delle mansioni superiori, ovvero alle previsioni della contrattazione collettiva, poiché una difforme interpretazione si porrebbe in contrasto con la volontà del legislatore che rimane, pur sempre, quella di garantire al lavoratore di ricevere una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, come stabilito dall’art. 36 Cost.

Come procedere per richiedere il pagamento delle differenze retributive

Nei casi in cui il dipendente voglia contestare l’effettivo svolgimento di mansioni relative ad un inquadramento contrattuale superiore a quello posseduto, reclamando il pagamento dei differenziali retributivi non corrisposti, occorre innanzitutto reperire tutta la documentazione comprovante la situazione lavorativa vissuta sottoponendola alla valutazione di un legale, specializzato in diritto del lavoro pubblico. Successivamente, andrà incaricato un consulente del lavoro per far svolgere un approfondito conteggio delle differenze retributive dovute sulla scorta del superiore inquadramento reclamato e delle prestazioni effettuate, elaborato alla luce del CCNL applicabile al caso concreto.

Di seguito, andrà quindi inoltrata, a mezzo raccomandata RR o con Pec, formale lettera di contestazione alla parte datoriale in cui, fornita una breve ricostruzione dei presupposti di fatto posti a fondamento della richiesta, vengano indicati gli importi specificatamente richiesti, fissando espressamente termine al debitore per adempiere spontaneamente, pena la prosecuzione dell’iniziativa innanzi agli organi competenti con conseguente aggravio di spese. Da ultimo, si faccia sempre attenzione al decorso del termine di prescrizione che, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico, si prescrivono entro cinque anni, a decorrere dal giorno in cui il lavoratore può esercitare il diritto.

 

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