Trattamento di Fine Rapporto: cos’è e come si calcola

Sin dal 1927, il nostro ordinamento giuridico ha dato importanza al momento della cessazione dell’attività lavorativa. Già nella “Carta del Lavoro” pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale al n. 100 del 30 aprile di quell’anno, l’art.17 disponeva: “nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore”.

Con la Legge n. 297 del 1982, il Legislatore intervenne per disciplinare questa misura economica e fu introdotto quello che oggi comunemente chiamiamo TFR che sta per Trattamento di Fine Rapporto, anche per chi eventualmente dovesse cambiare più lavori e quindi aziende nel corso della sua carriera.

Cos’è il TFR?

Il Trattamento economico di fine rapporto di lavoro, disciplinato dall’articolo 2120 del codice civile, è una somma spettante al lavoratore in qualunque caso di cessazione di rapporto subordinato, che matura annualmente e che è accantonato mensilmente, fino al momento della sua riscossione.


Si tratta cioè della liquidazione delle somme che l’impresa ha trattenuto mensilmente dalle buste paga del lavoratore e a patto che egli abbia scelto di mantenerle in azienda. Questa somma rappresenta una quota di retribuzione differita che matura progressivamente nel corso del rapporto di lavoro.


La normativa di riferimento, oltre a quelle menzionate in precedenza ovvero la L. 297/1982 e l’art. 2120 c.c., è quella che è nata per incentivare la formazione dei c.d. “fondi pensione”. In tal senso, va certamente annoverato il D.lgs n. 252/2005 che in attuazione della L. n.243/2004 ha riformato complessivamente il sistema della previdenza complementare. Anche altri interventi hanno interessato la materia del TFR, come ad esempio: il D.lgs n.151/2001 che ha incrementato le cause che giustificano la richiesta di anticipazione del TFR; la particolare misura prevista dalla legge di stabilità 2015 che, in maniera sperimentale con durata fino al 2018, disciplinava la possibilità di ricevere il TFR direttamente in busta paga. Tutta la normativa in questione si riferisce ai lavoratori subordinati dipendenti del settore privato e, dal 2000 in poi, anche i lavoratori del pubblico impiego con il c.d. impiego contrattualizzato.

Come si calcola il TFR?

Il calcolo del TFR si effettua sommando tutte le quote di accantonamento – pari alla retribuzione annua lorda (RAL) divisa per 13.5 – e poi sottraendo lo 0,5% della RAL stessa, ossia la trattenuta per il Fondo Adeguamento Pensioni.

Per il calcolo del TFR netto bisogna escludere dal TFR lordo la tassazione applicata, prima in via provvisoria dall’azienda e poi in via definitiva dall’Agenzia delle Entrate.

A livello fiscale, il TFR è disciplinato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR, in particolare dagli articoli 17 e 19. Il TFR è soggetto a tassazione separata per diversi motivi:

  • si evita di sovraccaricare il reddito ai fini IRPEF del contribuente nell’anno di percezione dell’importo;
  • viene tassata separatamente solo la quota capitale, mentre le rivalutazioni sono tassate con imposta sostitutiva erogata annualmente (questo a partire dal 2001);
  • l’imposta non è calcolata in maniera definitiva, il legislatore ha infatti previsto che l’agenzia delle Entrate “provvede a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti” (art.19 TUIR).

La retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR – salvo diversa previsione dei contratti collettivi – è costituita da tutti gli elementi retributivi aventi natura tipica, normale e ripetitiva nel rapporto di lavoro: minimo contrattuale, aumenti periodici di anzianità, superminimi, indennità di maneggio denaro, maggiorazione turni, straordinario fisso ripetitivo, premi presenza, valori convenzionali mensa, indennità per disagiata sede, importi forfettari, cottimo, provvigioni, premi e partecipazioni, prestazioni retributive in natura, altre somme riconosciute e corrisposte a titolo non occasionale esclusi i rimborsi spese, escludendo le somme erogate a titolo occasionale.  Quindi, in soldoni, ogni anno si accumula qualcosa in più di una mensilità in busta paga.

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Chi eroga il TFR?

La liquidazione delle somme avviene ad opera del datore di lavoro che ha un obbligo in tal senso. Qualora il datore risulti inadempiente, il lavoratore può recuperare la somma mediante l’accesso al fondo di garanzia INPS, non prima però di aver infruttuosamente intrapreso la strada giudiziale.

Come funziona l’accantonamento del TFR?

Chi viene assunto, deve –entro sei mesi – scegliere la destinazione del TFR, dopo essere stato ben informato dal datore di lavoro. Se il lavoratore non esprime alcuna scelta, alla scadenza del semestre scatta il cosiddetto silenzio-assenso e datore di lavoro provvederà a trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o dai contratti collettivi, salvo accordo aziendale che prevede la destinazione del TFR ad una forma collettiva tra quelle previste dalla Legge 243 del 23 agosto 2004, articolo 1, comma 2. In ogni caso l’accordo va notificato al lavoratore.

Se il lavoratore esprime una scelta, può decidere di lasciare il TFR in azienda o considerarla come una modalità di finanziamento di una forma di previdenza complementare, scegliendo il fondo.

Raggiunti gli 8 anni di anzianità nella stessa azienda, il lavoratore può chiedere anche l’anticipo del TFR, non superiore al 70% di quello maturato, somma che ovviamente verrà tassata come per legge.

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