Rimozione contenuti social del minore postati dal genitore

I dettagli di una recente sentenza del tribunale di Trani che ha coinvolto genitori e figlia

Anche i social possono diventare un luogo di battaglia fra genitori separati, lo dimostra la recente sentenza del Tribunale di Trani.

Il caso ha origine da un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. avviato dal padre di una minore finalizzato a fra condannare la madre, da cui era legalmente separato da qualche anno, alla rimozione dai social network di tutti i contenuti video relativi alla loro figlia, con conseguente inibizione alla loro pubblicazione, in quanto pubblicati senza il consenso del ricorrente.

Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendola inammissibile per la mancata indicazione del giudizio di merito che il ricorrente avrebbe intrapreso in caso di accoglimento della pretesa cautelare, ma seguito del o reclamo presentato innanzi al Collegio la decisione veniva riformata e all’esame del merito della questione il ricorso cautelare veniva accolto.

Valutazione della fondatezza delle richieste e dei rischi

Alla luce delle caratteristiche proprie della rete che consente a chiunque di entrare in contatto con altri, veniva quindi affermato che la condotta della madre, consistente nel postare video della minore su Tik Tok, si poneva in chiara violazione di numerose disposizioni normative “nazionali, comunitarie ed internazionali: art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine), artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20.1111989 ratificata dall’Italia con L. n. 176/1991, nonché dell’art. 2 quinquies del D. Lgs. 101/2018, che ha fissato il limite di età da applicare in Italia a 14 anni.

Mancanza del consenso del genitore

Il Collegio ha altresì rilevato come non vi fosse prova alcuna che il padre separato avesse mai dato esplicito consenso alla pubblicazione di questi video, non potendo tener luogo di questa espressa manifestazione di volontà il fatto che lo stesso ricorrente fosse a conoscenza della pubblicazione, avendo mantenuto l’accesso al profilo della moglie.

Infatti – come si legge nella motivazione – “la possibilità di visionare un profilo social non equivale ad accettazione della pubblicazione di video e foto ritraenti la figlia minore”, per cui la proposizione stessa del ricorso cautelare, ancorché dopo qualche mese dalla pubblicazione del materiale video ritraente la minore, costituisce per sé stessa manifestazione espressa del mancato consenso.

La pubblicazione presuppone già un pericolo per il minore

Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale si è poi rifatto all’orientamento della migliore giurisprudenza di merito per cui “l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che taggano le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati. Dunque, il pregiudizio per il minore è insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente” (cfr. Trib. Mantova, 19.9.2017).

Conseguente, pertanto, l’accoglimento del ricorso cautelare presentato dal padre, con relativa condanna della madre all’immediata rimozione dai propri profili social delle immagini relative alla minore e contestuale inibitoria dalla futura diffusione di tali immagini su qualsiasi piattaforma, in assenza del consenso di entrambi i genitori.

 

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