Mentre in Parlamento si discute una possibile riforma dell’accesso gratuito alle prestazioni sociosanitarie ad alta integrazione, la giurisprudenza continua a tracciare la rotta. Con la sentenza n. 1644/2025, la Corte d’Appello di Milano ha ribaltato la decisione di primo grado, confermando il diritto al rimborso delle rette RSA per una paziente affetta da Alzheimer.
Una pronuncia che si inserisce nel solco dell’ormai consolidato orientamento della Cassazione e che rafforza la tutela dei malati affetti da patologie neurodegenerative croniche.
La Corte di Cassazione, con numerose pronunce (tra cui l’ordinanza n. 26943/2024), ha stabilito che le prestazioni sociosanitarie devono essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale tutte le volte in cui sono necessarie per garantire il diritto alla salute del paziente.
Anche se le prestazioni sanitarie non prevalgono numericamente su quelle assistenziali, la loro inscindibilità impone che l’intero trattamento sia considerato come prestazione sanitaria, con conseguente gratuità e diritto al rimborso in caso di addebito.
Nel caso in esame, la Corte era chiamata a giudicare sull’opposizione a un’ingiunzione di pagamento da oltre 26.000 euro per il ricovero in RSA di una paziente Alzheimer.
Richiamando il DPCM 29 novembre 2001 e i principi espressi dalla Cassazione, i giudici milanesi hanno confermato che il trattamento ricevuto rientrava pienamente nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e che le cure sanitarie ricevute erano strettamente connesse a quelle socio-assistenziali, non potendo essere fornite separatamente.
L’intera prestazione è quindi da considerarsi gratuita, con onere a carico del SSN.
La Corte ha ribadito quanto già affermato in altre pronunce (Cass. n. 4752/2024; Cass. n. 34590/2023): se il paziente riceve un trattamento sanitario personalizzato non occasionale, le prestazioni assistenziali sono da considerarsi inscindibili da quelle sanitarie.
Questo principio, sebbene consolidato per il morbo di Alzheimer, può estendersi anche ad altre patologie degenerative, a condizione che vi sia prova concreta della necessità di un intervento sanitario continuativo integrato con l’assistenza.
Nel riesame del caso, la Corte ha valutato nuovamente le condizioni cliniche della degente, ritenendole più gravi rispetto a quanto considerato in primo grado.
Da qui, la nullità del contratto di ricovero per contrasto con norme imperative (art. 1418 c.c.) e il riconoscimento della gratuità integrale della prestazione: l’intero costo del ricovero dovrà essere sostenuto dal Servizio Sanitario Nazionale, senza alcun onere economico per la famiglia della paziente.
Chi può richiedere il rimborso? Il familiare che ha effettuato i pagamenti, l’erede legittimo oppure chiunque abbia sostenuto la spesa. È necessario fornire documentazione medica che attesti la patologia e le ricevute delle rette versate.
Un aspetto fondamentale è il tempo: è possibile recuperare le somme versate fino a 10 anni prima. Non perdere tempo: ogni anno che passa potrebbe significare migliaia di euro in meno.
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Se hai pagato la retta RSA per un familiare affetto da Alzheimer o da altra demenza grave, potresti avere diritto al rimborso integrale delle somme versate. Non importa se la struttura era pubblica, convenzionata o privata: ciò che conta è la natura sanitaria del ricovero.