Patologie pregresse, la Cassazione: danno biologico va comunque risarcito per intero

Quando una patologia preesistente incide davvero sul danno biologico? A rispondere è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17006/2025, che ribadisce un principio centrale in tema di responsabilità sanitaria: non si può ridurre automaticamente il risarcimento senza prima valutare in concreto l’incidenza causale della condizione preesistente.

Il caso: intervento errato e riduzione del risarcimento

La vicenda riguarda un minore sottoposto a un intervento di osteotomia sovracondiloidea antivalgo, che ha causato l’accorciamento del piede destro di 4 cm. La Corte d’Appello di Napoli aveva riconosciuto la responsabilità del medico e dell’Azienda ospedaliera, disponendo il risarcimento di quasi 800mila euro al ragazzo e 100mila euro ciascuno ai genitori. Tuttavia, aveva liquidato il danno biologico nella misura del 45%, motivando la scelta con la presenza di una patologia pregressa.

La posizione della Cassazione: serve accertamento concreto

Accogliendo il ricorso dei danneggiati, la Suprema Corte ha stabilito che una patologia preesistente non giustifica di per sé una riduzione del danno biologico. È necessario invece verificare, con giudizio ex post, se la patologia abbia realmente inciso sul danno finale e in che misura. In assenza di questa verifica, l’eventuale riduzione del risarcimento è illegittima.

Secondo i giudici, la Corte d’Appello ha applicato in modo acritico la consulenza tecnica, omettendo di valutare la differenza tra un danno meramente coesistente e uno concorrente. Non ha inoltre spiegato il percorso logico-giuridico con cui ha quantificato il danno al 45%, rendendo la decisione carente sotto il profilo motivazionale.

Il principio della “prognosi postuma” nel danno biologico

La sentenza richiama il criterio della prognosi postuma: occorre valutare cosa sarebbe accaduto alla vittima in assenza dell’errore medico, e quindi se gli effetti dell’intervento sbagliato sarebbero stati uguali anche su un soggetto perfettamente sano. Se sì, la patologia preesistente è da considerarsi irrilevante e il danno biologico va quantificato come se fosse stato subito da un soggetto sano.

In altre parole, il giudizio deve essere controfattuale: solo se la condizione preesistente ha avuto un ruolo causale nell’aggravare il danno, si potrà tenerne conto, ma esclusivamente in fase di liquidazione economica, non nella determinazione del grado di invalidità.

Concausa naturale e equivalenza causale

L’azienda sanitaria, in controricorso, aveva chiesto di ridurre ulteriormente il danno biologico dal 45% al 15%, sostenendo il concorso tra responsabilità medica e malattia pregressa. Ma la Cassazione ha respinto l’istanza, affermando che, secondo l’art. 41 c.p., il concorso del fatto umano rende irrilevante la concausa naturale, che quindi non deve influire sulla quantificazione dell’invalidità permanente.

Coesistenza o concorso: come incide la patologia preesistente

Infine, la Corte ha chiarito che:

  • una menomazione coesistente è irrilevante e non incide né sulla percentuale di invalidità né sul danno biologico;

  • una menomazione concorrente può incidere solo sul piano della liquidazione economica, senza alterare la valutazione percentuale dell’invalidità permanente, che va sempre riferita alla complessiva situazione accertata.


In sintesi: la presenza di una patologia preesistente non giustifica in automatico una riduzione del danno biologico. È sempre necessario un accertamento puntuale sull’effettivo impatto causale, nel rispetto dei principi di causalità giuridica e del criterio della prognosi postuma.

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