Mentre continuano ad arrivare, quasi quotidianamente, sentenze a favore dei dipendenti pubblici che richiedono la monetizzazione dei giorni di ferie non goduti prima della cessazione del rapporto di lavoro – con liquidazioni spesso consistenti, in particolare nell’ambito sanitario (vedi la recente sentenza di Ferrara) – arriva un’ulteriore conferma giudiziale: anche gli eredi di un dirigente medico, deceduto dopo il pensionamento, hanno diritto all’indennizzo economico per le ferie maturate e non fruite.
È quanto stabilito dalla sentenza n. 450/2025 del Tribunale di Crotone – Sezione Lavoro – che ha accolto il ricorso avviato da un dirigente medico, poi prematuramente scomparso. I suoi eredi sono subentrati nel giudizio e hanno ottenuto dalla ASP territoriale la liquidazione dell’indennità sostitutiva per i giorni di riposo non goduti dal medico durante la sua carriera.
Tutto nasce dalla richiesta di un dirigente medico in servizio presso una A.S.P., che – andato in pensione nel settembre 2023 per raggiunti limiti di età – chiedeva all’azienda il pagamento di 63 giorni di ferie arretrate.
La ASL si è opposta alla richiesta. Nel frattempo, il sanitario è venuto a mancare. A quel punto, si sono costituiti i suoi eredi, portando avanti la stessa istanza.
Analizzando la sentenza, emergono diversi aspetti fondamentali, tutti affrontati con motivazione articolata.
Il Tribunale ha confermato che gli eredi sono legittimati a richiedere l’indennità sostitutiva delle ferie. Accettando implicitamente l’eredità, sono subentrati nei diritti del de cuius, compresa la possibilità di agire giudizialmente.
L’azienda ha sostenuto che il credito dovesse ritenersi prescritto in 5 anni, in base all’art. 2948 n. 4 c.c., trattandosi – a suo dire – di crediti di lavoro.
Il giudice ha però ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’indennità ha natura mista, sia risarcitoria sia retributiva, ma con prevalenza dell’aspetto risarcitorio per quanto riguarda la prescrizione. Ne consegue l’applicazione del termine ordinario decennale, a partire dalla cessazione del servizio.
La difesa aziendale ha invocato l’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012, che sembrerebbe introdurre un divieto generale alla monetizzazione delle ferie nel pubblico impiego.
Tuttavia, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 95/2016 e la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, il giudice ha chiarito che la perdita del diritto alle ferie può avvenire solo se il datore di lavoro prova di aver invitato formalmente il lavoratore a fruirne, avvertendolo del rischio di decadenza.
Passando all’analisi delle prove, il Tribunale ha ritenuto inidonee le due note aziendali prodotte dalla ASL, che si limitavano a invitare genericamente i referenti alla predisposizione di piani ferie, senza avvisi espliciti ai singoli lavoratori e senza chiarire la perdita del diritto in caso di mancato utilizzo.
Inoltre, il contenuto di queste comunicazioni subordinava la fruizione delle ferie alle “esigenze di servizio”, lasciando intendere che l’interesse aziendale prevalesse su quello del dipendente.
Una terza nota, questa volta indirizzata direttamente al dirigente medico, non conteneva comunque alcun avvertimento formale: si trattava solo di un invito generico a fruire delle ferie prima del collocamento a riposo.
È stata respinta anche l’eccezione dell’ASL secondo cui il dirigente medico di primo livello avrebbe potuto autonomamente gestire le proprie ferie.
Il giudice ha richiamato l’orientamento consolidato (Cass. n. 13679/2024 e n. 5496/2025), secondo cui i dirigenti di primo livello sono sottoposti alla direzione sanitaria e ai dirigenti di secondo livello, e non possono fruire delle ferie in autonomia.
Non avendo dimostrato di aver fatto quanto necessario per permettere la fruizione delle ferie maturate, la ASL è stata condannata a riconoscere agli eredi oltre 17.000 euro, a titolo di indennità sostitutiva, oltre al rimborso integrale delle spese legali sostenute in giudizio.
La giurisprudenza continua a confermare la centralità del diritto alle ferie, e quindi al pagamento della corrispondente indennità in caso di cessazione del rapporto di lavoro per qualsiasi motivo, ritenendo onere esclusivo del datore di lavoro fornire l’eventuale prova liberatoria. Un orientamento che, applicato ormai diffusamente nei Tribunali, rafforza le tutele dei lavoratori e offre un quadro di certezza e celerità nel riconoscimento del diritto alla monetizzazione per tutto il settore del pubblico impiego.