Licenziamento collettivo e del singolo: regole e modalità

L’atto con cui il datore di lavoro risolve il rapporto di lavoro è certamente il licenziamento. Per tutti è una doccia fredda riceverlo, tuttavia è necessario fare chiarezza su diversi tipi di licenziamento (singolo o collettivo) e sulla sua legittimità o meno. 

Licenziamento singolo o licenziamento collettivo: cosa sono 

Prima di ogni cosa è bene chiarire che i motivi per cui si viene licenziati sono di svariata natura e che la primissima cosa da individuare sono i motivi e le modalità che riguardano il singolo oppure la collettività.  

Può succedere che un ente con le carte in regola sia in possesso di particolari strumenti per attuare quello che viene conosciuto come “licenziamento collettivo”. Questo coinvolge più lavoratori contemporaneamente e probabilmente per gli stessi motivi e può indurre un maggior allarme sociale rispetto al licenziamento individuale. Quest’ultimo, infatti, riguarda il singolo lavoratore e, di solito, le motivazioni a riguardo sono esplicitate dal nostro ordinamento.  

Le normative di riferimento 

Riguardo al licenziamento individuale, è la risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro per cui non esiste una disciplina specifica e la fonte normativa è quella codicistica e in particolare gli articoli 2118 e 2119 che disciplinano il recesso nel rapporto di lavoro.  

La legge 604/1996 detta, invece, la disciplina dei licenziamenti individuali.  

I licenziamenti collettivi, invece, proprio per la loro peculiarità sono assoggettati ad una disciplina più stringente, proprio perché risultano essere subordinati alle rappresentanze sindacali.  

La loro disciplina è dettata dalla legge 223/1991, che distingue due fattispecie di licenziamento collettivo, rispettivamente normate agli articoli 4 e 24: 

  • il licenziamento per riduzione del personale (articolo 24 comma 1); 
  • il licenziamento di lavoratori in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (articolo 4 comma 1). 

L’art. 24 individua i requisiti soggettivi di applicazione della disciplina, stabilendo che questa interessa i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti e ne stabilisce i presupposti oggettivi che risultano essere diversi e comprendono la coesistenza di tre importanti circostanze: 

  • deve esserci una riduzione o trasformazione di attività o lavoro;
  • l’intenzione del datore di lavoro deve essere quella di effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni in ciascuna unità produttiva o in più unità produttiva nell’ambito del territorio della stessa provincia;
  • i licenziamenti collettivi devono essere comunque riconducibili, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, alla medesima riduzione o trasformazione.

La normativa in materia di licenziamenti collettivi si sofferma inoltre sui particolari strumenti straordinari di integrazione salariale. Regolano soprattutto i casi in cui questi non riescano a garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e non possano utilizzare misure alternative. In tal caso l’applicazione della disciplina prescinde dal numero di lavoratori da licenziare. 

Per quali motivi legittimi può avvenire il licenziamento? 

Per quanto riguarda il licenziamento individuale, questo può avvenire: 

  • per giusta causa; 
  • per giustificato motivo soggettivo; 
  • per giustificato motivo oggettivo; 
  • licenziamento verbale; 
  • licenziamento in maternità o in conseguenza del matrimonio. 

Il licenziamento collettivo è possibile, invece, solo se l’azienda interessata ha più di 15 lavoratori e si decide di licenziarne almeno 5, in un arco temporale massimo di 120 giorni. Il datore di lavoro però deve sottostare a regole più rigide quando si tratta di lasciare senza lavoro più persone, dato che la scelta potrebbe causare problemi economici a diverse famiglie.  

A tal riguardo, lo Stato ha il dovere di intervenire e per questo è stato stabilito che questo tipo di licenziamento può avvenire solo e tassativamente per:  

  • riduzione del personale; 
  • cessazione dell’attività. 

Non è ammessa alcuna deroga che riguardi opportunità o risparmio economico del datore di lavoro. Devono, invece, risultare che qualcosa abbia determinato la diminuzione degli affari e la conseguente necessità di modificare la struttura dell’azienda. La scelta obbligata di tagliare la forza lavoro deve essere dimostrata con dati certi. 

Tra l’altro la scelta del licenziamento non può essere arbitraria, ma deve seguire determinati criteri di scelta. La situazione cambia a seconda del risultato delle trattative nella fase sindacale. Se è stato raggiunto un punto d’incontro, dovranno essere seguite le dinamiche stabilite nell’accordo stipulato tenendo conto delle esigenze produttive, quindi attuando ad esempio il prepensionamento di alcuni lavoratori. In mancanza di un accordo, dovranno essere rispettati i criteri stabiliti dalla legge e infatti, nello scegliere i lavoratori destinatari di licenziamento collettivo, il datore di lavoro deve attenersi a precisi criteri, individuati dai contratti o, in mancanza, dall’articolo 5 della legge numero 223/1991. 

In particolare, si valutano in concorso tra loro: 

  • carichi di famiglia; 
  • anzianità; 
  • esigenze tecnico-produttive organizzative. 

È lasciata un’ampia discrezionalità al datore di lavoro in questo contesto, ma deve in ogni caso rispettare la buona fede e la correttezza che regolano i rapporti tra le varie parti, evitare discriminazioni in base al sesso, l’etnia o alle opinioni politiche. Al di fuori dei casi di prepensionamento, il datore di lavoro deve corrispondere ai lavoratori licenziati collettivamente un contributo di recesso pari al 41% del massimale Naspi, calcolato ogni 12 mesi di anzianità di servizio e negli ultimi 3 anni di lavoro. Inoltre, i soggetti licenziati collettivamente godono del diritto di precedenza per una eventuale riassunzione nella stessa azienda, se dopo 6 mesi quest’ultima richiede nuove posizioni e figure analoghe a quelle dei soggetti licenziati collettivamente. 

Non è comunque possibile licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione, né un numero di lavoratori disabili tale da lasciare scoperta la quota di riserva. 

Con quali modalità si esegue il licenziamento? 

Le modalità vengono scelte per lo più in base all’art. 2 comma secondo della legge 604/66 che stabilisce: 

 “Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro”. 

La forma scritta del licenziamento è obbligatoria a pena dell’inefficacia dell’atto.  

Non è prevista la forma scritta del licenziamento quando: 

  • il lavoratore è in prova; 
  • nel rapporto di lavoro domestico; 
  • il lavoratore ha più di sessant’anni ed ha diritto alla pensione di vecchiaia e non ha optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro. 

In tali ultimi casi, il licenziamento può essere comunicato anche oralmente in quanto non è previsto l’obbligo di motivazione. In tal caso, siamo di fronte al licenziamento ad nutum cioè il licenziamento libero cioè il recesso del datore di lavoro che può essere esercitato senza giustificazione contemplato dalla legge 604/66. Il recesso libero è consentito: durante il periodo di prova; nel rapporto di lavoro domestico; nel rapporto di lavoro con il dirigente; quando il lavoratore ha più di sessant’anni e ha diritto alla pensione di vecchiaia; con gli sportivi professionisti; al termine del periodo di formazione del contratto di apprendistato. 

Il secondo comma dell’articolo 2 della legge 604/66 statuisce, inoltre: 

“La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”. La mancanza dei motivi comporta l’inefficacia dell’atto. 

Nella lettera di licenziamento, dunque, il datore di lavoro deve indicare i motivi che lo hanno portato ad esercitare il recesso, esprimendosi in maniera chiara e concisa in modo da permettere al lavoratore di difendersi. I motivi descritti nella lettera di licenziamento non possono essere modificati. Possono essere eventualmente integrati. I motivi possono dipendere dal lavoratore o dal datore di lavoro. Questi due casi consentono di dar luogo a licenziamento disciplinare, per giusta causa o giustificato motivo oggettivo.  

A tal riguardo, va menzionata la sentenza n. 7851 del 20/03/2019, dove si legge che: “Il datore di lavoro non può addurre in giudizio, a giustificazione del licenziamento, fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento dell’intimazione del recesso, ma soltanto dedurre mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti; il principio di contestualità ed immodificabilità della motivazione ha natura imperativa e la sua violazione è sanzionata con l’inefficacia del licenziamento”. 

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Il licenziamento collettivo avviene, invece, tramite un atto scritto che deve essere comunicato individualmente a tutti i soggetti coinvolti, osservando il periodo di preavviso previsto dal contratto, nel quale devono essere indicati i motivi del recesso e i criteri di scelta adottati per individuare i soggetti da licenziare. 

La procedura dovrà avvenire tramite precisi step, quali: 

  • Comunicazione ai sindacati con spiegazione chiara e precisa dei motivi che hanno determinato la situazione; 
  • il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e del personale abitualmente impiegato; 
  • i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; 
  • le eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale. 

Entro sette giorni da quando hanno ricevuto la comunicazione relativa al licenziamento collettivo, le rappresentanze sindacali aziendali e le rispettive associazioni possono richiedere un esame congiunto tra le parti con il fine di esaminare le cause. In questa fase i rappresentanti sindacali possono eventualmente chiedere l’assistenza degli esperti. In ogni caso, l’esame deve esaurirsi entro quarantacinque giorni dalla data in cui è stata ricevuta la comunicazione e il suo esito va comunicato da parte dell’impresa all’UPLMO, anche specificando i motivi se negativo. Se i lavoratori interessati dal licenziamento collettivo sono meno di dieci il predetto termine è ridotto alla metà. 

Se l’accordo non è raggiunto, le parti sono convocate per un ulteriore esame dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, il quale può anche formulare delle proposte per la realizzazione di un’intesa. Questo secondo esame, in ogni caso, deve concludersi al massimo entro trenta giorni da quando l’UPLMO ha ricevuto la comunicazione relativa al primo esame congiunto tra le parti. 

Dopo questo processo, nel termine massimo di sette giorni, il datore di lavoro deve comunicare per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria l’elenco dettagliato dei lavoratori licenziati, comprensivo di luogo di residenza, qualifica, livello di inquadramento, età e carico di famiglia e modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. 

In materia di licenziamento collettivo, con la sentenza 13207/22, la Corte di Cassazione va ad elaborare un importante principio di diritto. 

Nell’ambito di una procedura di riduzione del personale, l’applicazione dei criteri di scelta va effettuata con riferimento alle società che compongono il gruppo, laddove tra le medesime sussista un unico centro d’imputazione di interessi, a prescindere dal fatto che il singolo lavoratore abbia effettivamente svolto le proprie prestazioni in modo promiscuo per entrambe le società collegate. Se tra le imprese del gruppo sussiste una sostanziale unicità quanto alle rispettive strutture aziendali, nel senso che esse convergono verso un unico centro decisionale, l’indagine sui presupposti selettivi dei lavoratori eccedentari deve ricomprendere tutta la popolazione aziendale delle imprese coinvolte. In tal caso, non è necessaria l’ulteriore verifica se il singolo lavoratore operava solo per la società titolare del rapporto di lavoro o anche per le altre società del gruppo.  In altri termini, non è dirimente che il lavoratore abbia operato solo per il datore di lavoro che lo aveva assunto, perché in presenza di un unico centro di interessi la verifica va, comunque, effettuata rispetto a tutti i lavoratori comparabili ricompresi nelle varie società collegate”. È stata quindi confermata la reintegrazione in servizio del lavoratore e disposta la condanna ad un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità. Anche la Cassazione sposa questa interpretazione aggiungendo, altresì, che la compenetrazione delle strutture aziendali di due società distinte, ma parti di un genuino gruppo di imprese, riverbera i propri effetti sulla procedura di licenziamento collettivo, imponendo una valutazione complessiva dei lavoratori in esubero con riferimento a tutta la forza lavoro impiegata dalle società collegate. 

Quali azioni sono consentite contro il licenziamento? 

Qualora si ravvisino delle irregolarità o illegittimità, è bene far valere i propri diritti anche secondo quanto stabilito dalla legge. L’articolo 6 della legge 604/66, infatti, stabilisce che il licenziamento individuale dev’essere impugnato a pena di decadenza entro il termine di 60 giorni dalla sua comunicazione in forma scritta che decorre dalla comunicazione, sempre in forma scritta, dei motivi che hanno determinato il licenziamento se non contestuale alla comunicazione dello stesso. L’impugnazione può avvenire in sede giudiziale o stragiudiziale in forma scritta con un atto idoneo a manifestare tale volontà del lavoratore. Il legislatore, tuttavia, affinché l’atto produca i suoi effetti, mette il lavoratore di fronte a una duplice scelta da effettuarsi nei successivi 180 giorni: depositare il ricorso presso la cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro; promuovere un tentativo di conciliazione o arbitrato comunicandone l’invito al datore di lavoro. Se la conciliazione non va a buon fine, nei successivi sessanta giorni dall’espresso rifiuto o dall’accordo non raggiunto il lavoratore deve presentare il ricorso al giudice. 

Anche per il licenziamento collettivo, va sottolineato che se non vengono rispettate le condizioni che abbiamo evidenziato nelle righe precedenti, i dipendenti interessati possono opporsi, chiedendo a un giudice di verificare la correttezza delle procedure. In sostanza, deve essere esaminata la correttezza formale della procedura, ma anche la sussistenza dei requisiti e dei criteri previsti dalla legge. Se sono presenti dei vizi formali o sostanziali, si tratta di licenziamento illegittimo. Inoltre, nel caso in cui l’azienda, entro 6 mesi dalla decisione, faccia richiesta di nuove assunzioni analoghe a quelle dei dipendenti licenziati, gli stessi hanno il diritto di precedenza alla riassunzione. 

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