Recentemente, con la sentenza del Tribunale di Caltanissetta dell’8/10/2019, si è prepotentemente riaffacciato il problema dell’uso inadeguato che i minori fanno dei mezzi di comunicazione digitale.
Nel caso di specie veniva in rilievo la condotta reiterata di un minore che, utilizzando il sistema di messaggistica istantaneo Whatsapp, molestava una coetanea provocandole un grave stato di ansia e preoccupazione, tale da costringerla a modificare le proprie abitudini di vita per timore per la propria ed altrui incolumità.
Questa pronuncia pone l’attenzione sul fatto che, sebbene l’uso di questi sistemi risponda ad interessi di rango costituzionale, i pericoli ai quali il minore risulta esposto nell’uso di questi strumenti impone necessarie forme di tutela sia della propria incolumità, che di quella altrui.
Viene quindi correttamente riaffermato che gli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale non possono considerarsi limitati al solo dovere di impartire al minore una adeguata educazione all’utilizzo dei mezzi di comunicazione, dovendosi estendere anche ad una corretta, costante ed adeguata attività di vigilanza riguardo all’utilizzo.
Quindi, non ci si può limitare a svolgere quel necessario compito educativo per fornire al minore gli strumenti necessari per un congruo utilizzo degli strumenti digitali di comunicazione, ma occorre giocoforza ampliare questa attività ad iniziative di prevenzione e monitoraggio di potenziali usi distorti che il minore potrebbe comunque fare, danneggiando sé o gli altri.
La pronuncia – nella sua parte motivazionale – sottolinea poi che “l’anomalo utilizzo da parte del minore dei mezzi offerti dalla moderna tecnologia tale da lederne la dignità cagionando un serio pericolo per il sano sviluppo psicofisico dello stesso, può essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori”.
Con specifico riguardo ai mezzi di comunicazione digitale, è quindi dovere dei genitori sorvegliare i loro figli minori in misura quantomeno proporzionale all’estrema pericolosità del sistema che, di fatto, non avendo teorici confini di contenuto e di interazione può essere oltremodo ampio.
Non si deve infatti dimenticare che le implicazioni civilistiche di un’omessa od inadeguata vigilanza possono essere estremamente rilevanti per i genitori poiché, come già avvenuto in alcuni precedenti giudiziali, si può essere chiamati a rispondere, ai sensi dell’art. 2048 c.c., con il proprio patrimonio dei danni provocati a terzi dell’uso inadeguato di uno strumento come Facebook da parte di un figlio minore (ad es. atti di bullismo, di diffamazione ecc…).
Per costante giurisprudenza la fattispecie di cui all’art. 2048 c.c. prevede una forma di responsabilità diretta del genitore, ossia per fatto proprio, consistente nel non essersi colpevolmente attivato per prevenire ed impedire la realizzazione del fatto illecito commesso dal figlio.
Questa responsabilità trae origine su una duplice presunzione di colpa, ossia in vigilando ed in educando, che consistono non soltanto nel non aver adeguatamente sorvegliato per impedire il verificarsi dell’evento, ma anche nell’aver tenuto una condotta, ancorchè omissiva, che si pone in violazione con i doveri inderogabili posti a carico dei genitori dall’art. 147 c.c. che, di fatto, devono considerarsi tanto più estesi quanto più ampio risulta l’ambito di interazione del minore, con ovvie ripercussioni quando si tratta di uso dei sistemi di comunicazione digitale.