Illegittimità della sospensione del lavoratore non vaccinato

E’ stata recentemente pubblicata una sentenza che pone un argine ai provvedimenti di sospensione degli operatori sanitari, talvolta assunti in modo troppo disinvolto ed automatizzato, ma soprattutto con modalità procedurali non sempre rispettose delle tutele, che la legge n. 76/21 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 44/21) ha comunque previsto a favore del lavoratore.

Sospensione come extrema ratio
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2135/2021 del 16 settembre 2021 ha dichiarato illegittimo il provvedimento di sospensione, senza retribuzione, della operatrice sanitaria non vaccinata, affermando coerentemente con i principi seguiti dalla consolidata giurisprudenza che un siffatto provvedimento rappresenta “l’extrema ratio”, risultando a carico del datore un preciso onere di verificare preventivamente “l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.

Una volta ricevuta la comunicazione del mancato assolvimento del vaccino da parte del lavoratore, il datore di lavoro dovrà attribuire al dipendente, ove possibile, diverse mansioni, anche inferiori e che, comunque, non implichino rischi di diffusione del contagio e, soltanto quando tale assegnazione risulti impraticabile, potrà assumere il provvedimento di sospensione, senza retribuzione (cd. impossibilità del cd. repechage).

Prova concreta dell’impossibilità alla ricollocazione
Quest’onere non risultava soddisfatto nel caso di specie, mancando la prova che la stessa operatrice potesse essere adibita a mansioni, anche inferiori, compatibili con la tutela della salubrità dell’ambiente e della sicurezza degli ospiti della struttura, non avendo parte datoriale “compiutamente ed analiticamente profilato le posizioni presenti in organico, astrattamente compatibili con il ricollocamento della ricorrente, nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza, evidenziandone l’impossibilità”.

Corretta applicazione dell’iter previsto dal D.L. 44/21
Altrettanto è avvenuto riguardo all’iter procedimentale stabilito dal D.L. n. 44/21 che, di fatto, risultava soltanto parzialmente seguito, inficiando così le tutele poste a garanzia del lavoratore. Nel caso di specie, veniva appurato che agli atti vi era soltanto una comunicazione volta ad  invitare l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino, con indicazione dei termini e modalità entro i quali adempiere, senza che questa fosse stata preceduta dalla concessione del termine per la produzione di documentazione giustificativa dell’esenzione vaccinale, né seguita dall’atto di accertamento, da comunicare anche a lavoratore, cui la norma sopravvenuta ricollega la sospensione di costui dal diritto di svolgere la prestazione.

Conclusioni
Per questi motivi, è stata quindi dichiarata l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita, con conseguente condanna del datore al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa.

 

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