I messaggi WhatsApp reiterati possono essere considerati molestie ex art. 660 c.p.

Con la recente sentenza n. 37974/2021, la Corte di Cassazione Sez. Pen. si è occupata del reato di molestie mediante l’utilizzo della messaggistica WhatsApp.

Le motivazioni del ricorrente

 In sede di legittimità, il ricorrente invocava l’annullamento della sentenza di condanna sostenendo, fra l’altro, come non potesse configurarsi il reato previsto dall’art. 660 c.p. qualora la condotta fosse stata attuata con gli attuali sistemi di messaggistica istantanea poiché, contrariamente a quelli telefonici, questi consentono pur sempre al destinatario di sottrarsi bloccando la ricezione da parte dell’utente sgradito.

La definizione di molestia secondo la Corte di Cassazione

Nel motivare il rigetto dell’interposta censura, la Corte afferma che “L’elemento materiale della “molestia” è costituito dall’interferenza non accettata che altera dolorosamente, fastidiosamente o importunamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona e l’atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev’essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente”.

Peraltro, il reato in questione non richiede neppure una condotta abituale od una reiterazione di condotta intrusive nella vita altrui, ben potendosi configurare – sempre secondo il ragionamento seguito dal Supremo Consesso – “anche con una sola azione purché particolarmente sintomatica dei motivi specifici che l’hanno ispirata. Con riferimento all’intento della condotta costituito da biasimevole motivo è sufficiente, infatti, anche il compimento di un unico gesto, come nel caso di una sola telefonata effettuata con modalità rivelatrici dell’intrusione nella sfera privata del destinatario”.

Il blocco utente di WhatsApp non esclude la molestia

 Ricondotto lo strumento della messaggistica istantanea nell’alveo dei mezzi comunque ricompresi nell’ambito della fattispecie incriminatrice, la Corte sottolinea come il distinguo fra questa ed i messaggi di testo telefonici (sms) non abbia più ragione di esistere, in quanto ciò che rileva è il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata dell’avvertimento acustico, che indica il ricevimento del messaggio, unito all’anticipazione del testo che appare sulla schermata di blocco, a nulla rilevando il fatto che il messaggio telematico possa essere agevolmente bloccato.

 

 

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