Ferie retribuite non godute: la giurisprudenza UE detta la linea

Sostenere che, nel lavoro pubblico, le ferie retribuite non godute sono definitivamente perdute per il dipendente, senza che costui possa legittimamente reclamare il risarcimento del danno patito ovvero, in certi  casi, addirittura il pagamento di un indennizzo finanziario sostitutivo, non solo non è assolutamente corretto, ma si pone finanche in aperto contrasto con i precetti comunitari che, in modo chiaro, hanno stabilito la loro preminenza rispetto a normative o prassi nazionali che escludono il riconoscimento economico per quei lavoratori che, sebbene impegnati nel settore pubblico, non abbiano avuto la possibilità di goderne nel corso del loro rapporto lavorativo.

E’ lo stesso art. 36 della Costituzione e l’art. 7 della direttiva 2003/88/CE che sanciscono questo diritto, definendolo fondamentale ed irrinunciabile, siccome diretto al recupero delle energie psicofisiche spese per la prestazione lavorativa, potendo confidare in un tempo libero retribuito per coltivare i propri interessi.

Il datore di lavoro viene quindi onerato da un vero e proprio obbligo di concedere al lavoratore il periodo di ferie previsto dal contratto, predisponendo tutte quelle tutele organizzative che possano rendere davvero possibile l’effettivo godimento da parte del lavoratore del previsto periodo di riposo, invitandolo formalmente a fruirne e, nel contempo, informando in modo chiaro ed in tempo utile a consentirne l’utilizzo per gli scopi per cui sono riconosciute che la mancata fruizione comporterà il rischio di vederle definitivamente perse.

Questo criterio interpretativo è stato ripetutamente affermato sia dalla giurisprudenza di Cassazione che del Consiglio di Stato, che hanno riconosciuto al lavoratore il diritto di beneficiare dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute per cause a sé non imputabili, e ciò anche quando vi sia una previsione contrattuale che stabilisca il divieto di monetizzazione, dovendo in difetto registrarsi un’ingiustificata ed inammissibile compressione degli interessi del lavoratore.

Ma è la giurisprudenza comunitaria che, definendo il contenuto dell’art. 7 della direttiva 2003/88, ha affermato, nell’importantissima pronuncia del 6/11/2018 (C-619/16), che il lavoratore non può perdere il diritto all’indennità per le ferie non godute, neppure nel caso in cui non abbia richiesto di fruirne durante il periodo di servizio, senza prima appurare (e questo rappresenta un monito per  giudici nazionali) se lo stesso lavoratore sia stato effettivamente posto dal suo datore nelle condizioni di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite.

Sarà quindi il datore di lavoro, e non certo il lavoratore, ad essere gravato dall’onere di dimostrare, in caso di contezioso, di aver adottato tutte le misure atte a consentire al lavoratore di esercitare concretamente il suo diritto a cui il lavoratore abbia, nonostante tutto, rinunciato volontariamente e consapevolmente con conseguente perdita della corrispondente indennità finanziaria.

Dello stesso avviso un recente pronunciamento della Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 15652/2018) che, (in questo caso) anticipando le indicazioni comunitarie, ha affermato che non sussiste da parte del lavoratore, che invochi la monetizzazione delle ferie non godute, l’obbligo di richiedere preventivamente di poter fruire del periodo di riposo, gravando sul datore l’obbligo di dimostrare di aver proposto al lavoratore uno specifico periodo di riposo, che costui avrebbe immotivatamente respinto, rimanendo a suo carico gli effetti pregiudizievoli del mancato raggiungimento della prova.

Con la recente ordinanza del 2/7/2020 la Corte di Cassazione, definendo la disputa tra un dirigente medico direttore di struttura complessa e l’azienda sanitaria, ha ripetuto questa precisa indicazione osservando che:

  • l’art. 7 della direttiva 2003/2008 deve essere interpretato nel senso in cui osta a normative nazionali che stabiliscano la perdita automatica delle ferie annuali retribuite per il lavoratore, senza la previa verifica che il datore lo abbia effettivamente posto in condizione di esercitare il proprio diritto;
  • che spetta al datore di lavoro l’onere di assicurarsi in modo concreto ed assolutamente trasparente che il lavoratore, ancorchè con ruolo apicale, sia stato posto nelle favorevoli condizioni di poter esercitare il proprio diritto, invitandolo se necessario formalmente a farlo e contemporaneamente informandolo, con modalità chiare e con tempistiche tali da garantire che il periodo di ferie sia ancora utile allo scopo, che la mancata fruizione comporterà la definitiva perdita del beneficio anche alla cessazione del rapporto di lavoro;
  • che è lo stesso datore di lavoro che risulta gravato dall’onere della prova degli elementi che precedono;
  • che pertanto il mancato riconoscimento, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, dell’indennizzo economico per le ferie annuali non godute si pone in aperto contrasto sia con il disposto di cui all’art. 36 della Costituzione sia dell’art. 7 della direttiva 2003/88.

Confidando in questo ulteriore avallo giurisprudenziale, si può quindi concludere che, in pendenza di rapporto, sia astrattamente possibile richiedere il risarcimento del pregiudizio patito dal medico ogni qual volta sia dimostrato che non abbia potuto, per motivi estranei alla sua condotta e quindi imputabili all’amministrazione, usufruire del previsto periodo di ferie, nel mentre il diritto all’indennità sostitutiva potrà essere reclamato soltanto al termine del suo rapporto di lavoro, allegando (ed eventualmente dimostrando) di non averne potuto godere per motivi tutti riconducibili ad esigenze aziendali, ovvero a carenze organizzative che ne hanno impedito l’agevole fruizione.

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