Primi mesi del 2025 orribili per la pubblica amministrazione. Dal primo gennaio ad oggi si contano nelle sezioni lavoro di tribunali e Corti di appello ben 149 sentenze depositate in materia di monetizzazione delle ferie non godute dei dipendenti del pubblico impiego.
La percentuale di condanne rasenta la quasi totalità, atteso come soltanto in rarissimi casi si è assistito ad un pronunciamento di rigetto, venendo in tutte le altre occasioni accolte le richieste economiche presentate dai lavoratori.
La categoria maggiormente coinvolta è quella degli insegnanti precari, seguita dalla dirigenza medico sanitaria ed, infine, dai funzionari incardinati nelle varie diramazioni territoriali dell’apparato pubblico.
Complessivamente, sul tema ferie non godute risultano attualmente liquidati a sentenza quasi 700 mila euro complessivi, con rimborsi per spese legali che rasentano i 300 mila euro.
Di seguito l’analisi delle sentenze di condanna su ferie non godute, a cura dell’avvocato Francesco Del Rio, in prima linea sul tema per conto del network legale Consulcesi & Partners.
Ancora di recente la Corte di Cassazione è dovuta intervenire per risolvere, come spesso accaduto negli ultimi tempi, la disputa fra un dirigente medico e la sua ex struttura sanitaria che, forte di un’interpretazione perlomeno partigiana della normativa applicabile, continuava a negare ogni indennizzo economico per i giorni di ferie non goduti durante il tempo del servizio.
Con la sentenza n. 5496/2025, hanno quindi trovato nuova conferma i principi, più volte enunciati dalla Corte di giustizia europea, per cui le ferie annuali retribuite rimangono un diritto fondamentale e irrinunciabile del lavoratore, con conseguente diritto del dirigente medico a riceverne il controvalore economico, a cessazione del rapporto, tutte le volte in cui l’azienda sanitaria non fornisca prova (generalmente documentale) di averlo posto nelle condizioni di poterne fruire, invitandolo a goderne ed avvertendolo formalmente che, in caso contrario, potrebbe finanche perdere la relativa compensazione monetaria.
Paradigmatico il caso di un dirigente medico che, ottenuto il trasferimento per mobilità volontaria, si è visto ridurre al momento del passaggio nell’azienda di destinazione l’ammontare di giorni di ferie arretrati dai 124, accumulati in precedenza, a soli 15 in virtù di un accordo “interno” fra le 2 strutture pubbliche, con automatica cancellazione di ben 109 giorni di ferie non godute.
Negato ogni indennizzo economico in sede stragiudiziale, il dirigente medico ha avuto però buon gioco delle resistenze della pubblica amministrazione nel conseguente processo, allorché il giudice del lavoro, raccogliendo l’invito della CGUE, ha disapplicato la normativa nazionale, ovverossia l’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012, nella parte in cui impone il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, siccome in contrasto con la disciplina comunitaria.
Appurato come l’azienda non avesse fornito prova documentale dell’invito formulato al sanitario, né tantomeno dimostrato di aver esercitato tutta la diligenza necessaria per consentirgli la fruizione delle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro, a nulla rilevando il rivestito ruolo dirigenziale, con sentenza n. 339/2025, resa lo scorso 31 marzo, ha quindi condannato l’azienda sanitaria inadempiente al pagamento di 19.639,42 euro, con interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre al rimborso di ben 3.618 euro a titolo di spese legali sostenute.
Davvero impressionante è poi l’inarrestabile striscia di condanne raccolte dalla pubblica amministrazione con riferimento all’analoga questione portata avanti dagli insegnanti precari.
Anche in questo caso, la categoria lamenta di aver prestato il suo servizio in virtù di plurimi contratti a tempo determinato che si concludevano puntualmente con il termine delle attività didattiche o, comunque, al 30 giugno di ciascun anno lavorato per cui i docenti, non avendo potuto fruire dei giorni di ferie volontari a disposizione, ma essendo stati collocati in ferie d’ufficio durante i periodi di sospensione delle lezioni, maturavano consistenti periodi di ferie arretrate, di cui invocavano il pagamento.
Le innumerevoli pronunce fanno leva sul recente orientamento giurisprudenziale di legittimità (da ultimo, Cass. n. 16715/2024), secondo il quale il docente a tempo determinato, che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni, ha diritto all’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva.
La normativa interna e, in particolare, l’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012 (come integrato dall’art. 1, comma 55, della L. n. 228 del 2012) deve infatti interpretarsi conformemente all’art. 7, 2, della direttiva 2003/88/CE ed alle puntuali indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia, per cui non sarà mai possibile acconsentire all’automatica perdita del diritto alle ferie retribuite e dell’indennità sostitutiva, senza prima avere previamente verificato che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto effettivamente in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro.
Da qui il monito contenuto nella citata pronuncia n. 16715/2024 per cui, con riferimento al personale scolastico, “i docenti non possono essere considerati automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno”.
I giudici hanno quindi potuto agevolmente apprezzare come la PA si sia resa sempre inadempiente ai propri obblighi informativi e di organizzazione a favore del personale docente precario, facendo così seguire plurime condanne al pagamento di indennizzi che, in taluni casi, hanno raggiunto addirittura la soglia dei 12 mila euro, oltre alla refusione integrale delle spese di lite.
Il network legale Consulcesi & Partners è stato fra i primi, già agli albori delle prime pronunce della giurisprudenza europea che andavano a contrastare le normative nazionali che imponevano il divieto di monetizzazione delle ferie non godute, a sostenere questa battaglia per i diritti dei lavoratori del pubblico impiego. Battaglia che, dopo anni di vittorie, risultano ora definitivamente riconosciuti e che potranno essere ancora reclamati nel rispetto del termine di prescrizione decennale dall’avvenuta cessazione dal servizio.
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