Sul tema Ferie non Godute la Corte di Cassazione batte un altro colpo. L’ordinanza n. 13691 del 22 maggio 2025 ribadisce principi ormai consolidati: il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute spetta anche ai dirigenti con ruoli apicali e la prova di aver consentito la fruizione effettiva delle ferie grava esclusivamente sul datore di lavoro.
La vicenda origina dal ricorso di una dirigente pubblica (Anas), licenziata mentre si trovava in stato di detenzione e impossibilitata a godere delle ferie residue. I giudici di merito le avevano negato l’indennità, ritenendo che, in virtù del ruolo apicale rivestito, avrebbe potuto pianificare le ferie in autonomia e che il divieto di monetizzazione previsto per il pubblico impiego (art. 5, comma 8, D.L. 95/2012) si dovesse applicare in tutte le occasioni in cui il lavoratore avesse concorso attivamente alla cessazione del rapporto, in conformità alle linee guida di matrice ministeriale (n. 40033/2012).
La Cassazione, in linea con l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea dei principi comunitari, ha accolto il ricorso della ex dirigente, ribadendo che le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile di tutti i lavoratori, inclusi coloro che rivestono ruoli di vertice. Il divieto di monetizzazione delle ferie non può essere quindi applicato in modo automatico e generalizzato, risultando anzi fortemente circoscritto a tutela del primario interesse, di rango costituzionale, del diritto al riposo per consentire al lavoratore il recupero psicofisico.
La Cassazione ha ribadito che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il diritto all’indennità per ferie non godute può essere escluso solo se il datore di lavoro dimostra di aver effettivamente messo il dipendente in condizione di fruire delle ferie, informandolo in modo chiaro e tempestivo delle conseguenze della mancata fruizione. Non è quindi richiesto al lavoratore – nemmeno se dirigente – di provare le ragioni organizzative, eccezionali o oggettive che avrebbero impedito il godimento delle ferie.
Questa impostazione si allinea alle più recenti pronunce della Corte di Giustizia UE e della stessa Cassazione, che hanno progressivamente ridotto il perimetro del divieto di monetizzazione delle ferie, ritenendolo applicabile soltanto nel caso in cui il dipendente, posto effettivamente nelle condizioni di poter godere dei giorni di ferie annuali retribuite, abbia deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, scelto di non fruirne.
L’ordinanza n. 13691/2025 si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai stabilizzato: il diritto al godimento di un periodo di ferie annuali retribuite (ed alla corrispondente indennità economica sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro) rappresentano è un diritto fondamentale e irrinunciabile, che trova tutela inderogabile nell’ordinamento europeo, con conseguente adeguamento a livello interno. Nessun cambio di prospettiva, quindi, ma la conferma di un principio che garantisce la massima tutela della sicurezza e della salute di tutti i lavoratori del pubblico impiego, inclusi coloro che rivestono ruoli apicali.
Implicazioni pratiche per aziende e lavoratori
La giurisprudenza della Cassazione conferma, coerentemente con il mutato orientamento del 2020, la centralità del diritto alle ferie, e quindi al pagamento della corrispondente indennità in caso di cessazione del rapporto di lavoro per qualsiasi motivo, ritenendo onere esclusivo del datore di lavoro fornire l’eventuale prova liberatoria. Un orientamento che, applicato ormai diffusamente anche nei Tribunali nazionale, rafforza le tutele dei lavoratori e offre un quadro di certezza e celerità nel riconoscimento del diritto alla monetizzazione per tutto il settore del pubblico impiego.