La questione delle certificazioni dei medici di base relative alle assenze per malattia sul luogo di lavoro è stata spesso oggetto di discussione, soprattutto per il ruolo cruciale che tali attestazioni assumono nelle cause volte ad accertare le assenze non giustificate dei dipendenti.
La Corte dei Conti Umbria sez. giurisd., con la sentenza n. 47 del 20 dicembre 2017, ha ulteriormente sottolineato l’importanza di questo ruolo, ampliando i profili di responsabilità del medico.
La vicenda trae origine da un procedimento, prima disciplinare e poi penale, avviato contro un dipendente pubblico che svolgeva le sue mansioni presso la Direzione Territoriale del lavoro dell’Umbria. Nel caso di specie il soggetto aveva prodotto false attestazioni di malattia redatte da lui con firma e timbro di sanitari ignari, nonché certificati prodotti effettivamente da un medico che ne aveva invece confermato la provenienza. In relazione a quest’ultimo era emerso, in particolare, come non avesse effettuato le opportune verifiche sull’effettivo stato di salute del paziente e che avesse emesso ben 8 certificati attestanti uno stato di malattia che, alla luce degli accertamenti istruttori, era poi risultato inesistente, o comunque non compatibile con l’assenza dal luogo di lavoro, per ben 133 giorni consecutivi.
La Procura regionale adiva alla Corte di Conti competente per ottenere la condanna per danno erariale non soltanto nei confronti del dipendente pubblico, ma persino del sanitario che aveva emesso le relative certificazioni. Il medico in sede di giudizio si difendeva sostenendo di non essere stato coinvolto nel procedimento penale e di aver scrupolosamente verificato le condizioni fisiche del paziente. Ma in realtà dagli atti del procedimento penale acquisiti la Corte dei Conti ha stabilito come emergesse un quadro diverso: in particolare il paziente aveva palesato, in alcune intercettazioni telefoniche, la volontà di precostituirsi prove utili a giustificare l’assenza per malattia, finanche paventando al medico stati patologici inesistenti, certo che questo avrebbe emesso le relative certificazioni senza troppe verifiche.
La Corte dei Conti rilevava, in virtù delle risultanze degli altri procedimenti, come il medico avesse quindi agito con estrema superficialità, ritenendolo così corresponsabile dell’attuazione del disegno criminoso del lavoratore, non dolosamente (la stessa Procura non lo precisa in alcuno degli atti del processo), ma colposamente, connotata da una gravità tale da non poter andare esente da un giudizio di responsabilità amministrativo-contabile.
A nulla valevano le difese del medico, poiché la Corte rilevava che, nei giorni di assenza per malattia da lui certificati, era stato accertato in sede di indagine che il paziente era intento a svolgere attività del tutto incompatibili con lo stato patologico certificato, per cui era evidente come le sue verifiche in sede di attestazione dello stato di salute non dovevano essere state sufficientemente scrupolose, con conseguente condanna al risarcimento del danno patrimoniale derivato all’Erario, pari alla metà dello stipendio indebitamente percepito dal lavoratore nel periodo coperto dalle sue certificazioni.
Il concetto espresso dalla Corte dei Conti in questa pronuncia risulta allora piuttosto “rischioso” per la categoria, perché fa discendere la responsabilità del medico da un comportamento che, in sostanza, si traduce nella mancanza di scrupolo nella verifica delle condizioni fisiche del paziente, che però ha volontariamente preordinato una situazione volta a raggirarlo. Dunque, se da una parte è corretto pretendere da un qualsiasi operatore sanitario che svolga la propria attività in maniera scrupolosa e diligente, dall’altra viene da chiedersi se, quando il paziente (come in questo caso) miri a fuorviare le valutazioni del medico, sia corretto attribuire a quest’ultimo una responsabilità anche solo colposa, soprattutto oggi che a causa dell’immane contenzioso per responsabilità professionale che coinvolge la categoria medica la medicina difensiva, talvolta, è una necessità.