Grande risalto, soprattutto a livello mediatico, ha scatenato la recente pubblicazione del Decreto Legge n. 34/2023, convertito con modificazioni dalla L. 26 maggio 2023, n. 56 (in G.U. 29/05/2023, n. 124), quando si è gridato, forse con eccessivo entusiasmo, all’abolizione del vincolo di esclusività per tutti gli operatori delle professioni sanitarie, senza tener conto di alcuni aspetti che, inseriti nel testo della norma e soprattutto desumibili dal coordinamento con precedenti normative rimaste immutate, ridimensionano il perimento dell’iniziativa, comunque rimarchevole per aver tracciato un ulteriore passo avanti nel processo di riconoscimento di alcuni diritti all’intera categoria sanitaria.
Per comprendere l’ambito di applicazione della norma e quindi, di conseguenza, sia i reali destinatari della stessa che le reali opportunità riconosciute ai professionisti sanitari, occorre riprendere il dettato della previsione normativa che, di fatto, consiste nell’art. 13 che si intitola “Misure per gli operatori delle professioni sanitarie di cui all’art. 1 della legge 1° febbraio 2006 n. 43”.
Di seguito il testo che recita: “All’articolo 3-quater del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2021, n. 165, il comma 1 e’ sostituito dal seguente: «1. Fino al 31 dicembre 2025, agli operatori delle professioni sanitarie di cui all’articolo 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 43, appartenenti al personale del comparto sanità, al di fuori dell’orario di servizio non si applicano le incompatibilità di cui all’articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Il Ministero della salute effettua periodicamente, e comunque ogni due anni, un monitoraggio sull’attuazione della disposizione di cui al primo periodo”.
La disposizione normativa qui richiamata ha quindi introdotto la possibilità per tutti gli esercenti le professioni sanitarie, così come enumerate dall’art. 1 della L. n. 43/2006, di poter finalmente esercitare, al di fuori dell’orario di servizio, la propria attività lavorativa in regime libero professionale, risultando temporaneamente sospeso l’effetto preclusivo del regime di esclusività finora vigente e che, di fatto, impediva al medesimo professionista dipendente di accedere a questa opportunità.
C’è da dire, però, che questa novità è stata sensibilmente ridotta nei suoi effetti in quanto, in sede di conversione del testo originariamente previsto dal D.L. n. 34/23, è stato apposto un limite temporale di efficacia fissato al 31/12/2025, per cui quello che poteva apparire come lo sblocco definitivo dal vincolo di esclusività per tutti i professionisti del comparto non medico, si è tradotto alla fine in un’opportunità limitata ad un prefissato periodo di tempo, rendendo così difficoltosa una preventiva programmazione da parte di coloro che vorrebbero accedere a questo strumento.
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Altro aspetto di non lieve importanza e che, di fatto, si potrebbe tradurre in un ostacolo ad un’agevole fruizione di questa opportunità consiste nel fatto che la novella normativa nulla ha modificato rispetto all’ulteriore previsione contenuta nell’art. 3-quater del vigente decreto legge n. 127/2021, così come convertito in legge n. 165/21, per cui rimane pienamente efficace l’iter procedurale preliminare al rilascio della necessaria autorizzazione all’attività libero professionale fuori dall’orario di servizio.
A tal proposito, si legge infatti all’art. 3 – quater comma 2 del citato decreto legge del 2021, che: “In ogni caso gli incarichi di cui al comma 1, per i quali non trovano applicazione gli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sono previamente autorizzati, al fine di garantire prioritariamente le esigenze organizzative del Servizio sanitario nazionale nonché di verificare il rispetto della normativa sull’orario di lavoro, dal vertice dell’amministrazione di appartenenza, il quale attesta che la predetta autorizzazione non pregiudica l’obiettivo aziendale relativo allo smaltimento delle liste di attesa, nel rispetto della disciplina nazionale di recupero delle predette liste di attesa anche conseguenti all’emergenza pandemica”.
Ciò significa che, se è vero che sarà possibile svolgere attività libero professionale al di fuori dell’orario di servizio sino al 31 dicembre 2025, non applicandosi le incompatibilità di cui all’art. 4, co. 7, l. 412/1991 e art. 53 del Dlgs 165/2001, tale evenienza dovrà essere comunque preventivamente autorizzata dall’amministrazione aziendale, a cui dovrà essere rivolta apposita istanza e che rimane depositaria del potere di scelta secondo valutazioni certamente discrezionali, ma pur sempre votate alla trasparenza ed al requisito della motivazione, pena la possibilità di sindacarle in sede giurisdizionale.
La richiesta di autorizzazione all’esercizio della libera professione dovrà dunque, presentarsi mediante apposita istanza, formalmente inviata alla direzione aziendale, contenente oltre all’espresso richiamo all’art. 13 del D.L. n. 34/2023, l’indicazione della propria qualifica e del ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione aziendale, con tutti i riferimenti necessari alla ricezione delle successive comunicazioni da parte dell’ente destinatario.
Questo significa che la domanda dovrà essere presentata con modalità che garantiscano al professionista mittente di mantenere idonea documentazione che attesti l’avvenuta consegna della stessa, per cui appare preferibile ricorrere alla Pec, ovvero alla raccomandata con ricevuta di ritorno, oppure al protocollo avendo cura di farsi consegnare copia di quanto consegnato.
È quindi opportuno, fin da primo scritto, indicare quale attività professionale si intende svolgere all’esterno, descrivendo i titoli di studio abilitanti, le modalità di esercizio, l’eventuale committente (se esistente), la durata dell’impegno con relativa quota oraria settimanale, avendo cura di specificare l’inesistenza di situazioni di conflitto, anche se potenziale, con gli interessi e gli obbiettivi perseguiti dall’Azienda, oltre all’assenza di qualsiasi utilizzo di beni, locali ed attrezzature comunque riconducibili all’ente medesimo.
Seguirà poi la risposta dell’Azienda che, effettuate le verifiche del caso, dovrà esprimere il proprio consenso o, se del caso, dissenso esternando, in modo chiaro e trasparente, il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione adottata, così da consentire al dipendente destinatario di comprenderne le ragioni e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale qualora le stesse non risultino adeguatamente supportate rispetto ai criteri previsti dalla normativa vigente e, quindi, non resistano alla prova di valutazione del Giudice adito, con conseguente richiesta di revoca del provvedimento illegittimamente assunto e relativo risarcimento del danno patrimoniale eventualmente subito per i mancati guadagni, a cui il dipendente avrebbe potuto concretamente auspicare.