Nuovo successo per il settore sanitario sul tema del riconoscimento dell’indennizzo sostitutivo delle ferie non godute. La Corte di Appello di Venezia ha recentemente ribadito principi ormai consolidati nella giurisprudenza nazionale ed europea, ribaltando la decisione di primo grado e dando ragione a un dirigente medico dimissionario, che ha così ottenuto il giusto ristoro economico per il tempo di riposo non fruito durante il servizio.
Il caso riguardava la richiesta di un dirigente medico alla propria AUSL per il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute durante gli anni di servizio. Il rapporto si era concluso con dimissioni volontarie, finalizzate a intraprendere la libera professione in convenzione (pediatra di libera scelta) con la stessa azienda sanitaria.
In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva respinto la domanda, richiamando il divieto di monetizzazione previsto dall’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012, sostenendo che non fosse stata dimostrata l’impossibilità per il lavoratore di fruire delle ferie per causa imputabile al datore di lavoro.
Il dirigente ha impugnato la sentenza, ritenendola in contrasto con l’art. 36 Cost. e con l’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE. Secondo l’appellante, non era stata adeguatamente valorizzata la condotta illegittima dell’amministrazione, che non aveva consentito un congruo recupero delle energie psicofisiche.
Inoltre, la mancata fruizione delle ferie non derivava da una libera scelta del medico, ma dalla necessità di iniziare tempestivamente il nuovo incarico in convenzione. Infine, è stato evidenziato come la prassi aziendale imponesse l’autorizzazione dell’amministrazione per la fruizione dei periodi di riposo, limitando di fatto la libertà del lavoratore.
La Corte ha richiamato le disposizioni dell’art. 5, comma 8, del D.L. 95/2012 alla luce della giurisprudenza comunitaria, in particolare del procedimento C-218/22. È stato ribadito che il diritto alle ferie annuali comprende anche il diritto a un’indennità finanziaria per quelle non godute al momento della cessazione del rapporto.
La pronuncia UE del 18 gennaio 2024 ha inoltre chiarito che l’art. 7, paragrafo 2, della Direttiva 2003/88/CE non subordina tale diritto ad altre condizioni se non alla cessazione del rapporto di lavoro e al mancato godimento delle ferie maturate.
Ne consegue che la motivazione della cessazione (dimissioni volontarie comprese) non incide sul diritto all’indennità. È il datore di lavoro che deve dimostrare di aver posto il dipendente nelle condizioni di fruire delle ferie, informandolo in tempo utile delle conseguenze in caso di mancata fruizione.
I giudici veneziani hanno osservato che il rapporto di lavoro si era concluso regolarmente, con dimissioni presentate nel rispetto del preavviso contrattuale. Pertanto, le ragioni alla base della scelta del lavoratore non potevano ostacolare il riconoscimento dell’indennizzo.
Dall’istruttoria è inoltre emerso che l’Azienda non aveva adempiuto ai propri obblighi, non avendo dimostrato di aver messo il dirigente in condizione di usufruire delle ferie residue. La proposta del medico di differire la cessazione per smaltire i giorni arretrati era giunta tardivamente, quando l’inadempimento dell’amministrazione era già evidente.
Con la sentenza n. 561/2025 del 25 luglio scorso, la Corte di Appello di Venezia ha accolto l’appello del dirigente medico, condannando l’Azienda sanitaria al pagamento di oltre 56.000 euro per 235 giorni di ferie arretrate, oltre alle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.
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