Alzheimer, giurisprudenza a senso unico: maxi-risarcimento da 161mila euro per Rette Rsa

Ancora un successo per il mondo dei malati di Alzheimer e dei loro familiari che, malgrado i tentativi (finora sventati) di intervento del legislatore, ricevono rinnovato conforto dalla giurisprudenza che, dovendosi occupare della questione del rimborso delle rette illegittimamente corrisposte per le degenze in RSA, riconoscono la solidità delle argomentazioni giuridiche sostenute, riconoscendo il diritto alla restituzione di importi che, in taluni casi, assumono valori davvero importanti. Alla lunga lista di Tribunali che accolgono i ricorsi, si aggiunge quello di Prato con una sentenza di straordinaria rilevanza. Così come si evince dall’analisi dei legali di Consulcesi & Partners.

Il caso

Ed è, appunto, quanto recentemente accaduto ad un erede di una persona affetta da demenza di tipo Alzheimer che, dopo anni di ricovero presso una casa di cura, ha visto riconosciuti i suoi diritti dal Tribunale di Prato che, con la sentenza n. 220/25 pubblicata lo scorso 10 aprile, ha condannato la struttura al rimborso dell’importo di 161.610,00 euro, oltre agli interessi, dichiarando la nullità del contratto per la fornitura di servizi assistenziali a suo tempo sottoscritto.

In buon sostanza, nel solco tracciato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, l’erede sosteneva che le condizioni di salute della sua congiunta fossero state tali da imporre, oltre alle prestazioni meramente assistenziali, finanche una complessa attività di carattere socio-sanitario ad elevata integrazione sanitaria, venendo a costituirsi un unico piano terapeutico inclusivo di più apporti professionali e sociali del tutto inscindibili fra loro, con oneri da porsi interamente a carico del fondo sanitario.

Le ragioni di accoglimento

Nel motivare la decisione favorevole alle ragioni del congiunto, il Tribunale ha dapprima esaminato la domanda di accertamento di nullità del contratto concluso con la Casa di Cura per l’accoglienza e il ricovero della madre in RSA, ritenendola fondata alla luce del complesso quadro normativo applicabile, così come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità.

Secondo l’orientamento ormai prevalente (fra le tante, Cass. n. 34590/2023), per prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria  si devono intendere quelle attività che, non potendo essere eseguite se non congiuntamente con quelle di natura socio-assistenziale, rendono impossibile distinguere il rispettivo onere economico, per cui, dovendo sempre prevalere la  natura sanitaria del servizio perché diretta a tutelare la salute del paziente, si porta a concludere per la gratuità della prestazione nel suo complesso, siccome declinata nel programma terapeutico personalizzato.

Ne consegue, a tenore della sentenza commentata, che “l’elemento differenziale tra prestazione socio-assistenziale «inscindibile» dalla prestazione sanitaria e prestazione socio-assistenziale «pura», non sta, pertanto, nella situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale, ma risiede, invece, nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione assistenziale, e ciò perché in tal caso, l’intervento «sanitario-socio assistenziale» rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata o accreditata garantisce all’assistito dal S.S.R., attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed è quindi inserita a pieno titolo nell’ambito organizzativo e funzionale del Servizio sanitario pubblico”.

Ciò che rileva non è però che il piano terapeutico sia stato effettivamente concordato o comunque correttamente attuato in conformità agli impegni assunti con il paziente, o con i suoi congiunti in sede di ricovero, ma che questo piano fosse concretamente dovuto ossia che, in relazione allo stato di salute del degente ed alla prevedibile evoluzione della malattia, si rendesse necessaria l’esecuzione di un trattamento sanitario inscindibilmente connesso a quello assistenza, avendo quale scopo principale il contenimento delle conseguenze degenerative della malattia, riducendo il rischio di comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi.

Riconosciuta, dopo approfondita disamina di tutta la documentazione sanitaria prodotta in atti, la circostanza per cui la prestazione complessivamente eseguita durante il ricovero non costituisse soltanto un ausilio alle attività quotidiane della paziente, ma fosse altresì correlata alla somministrazione di trattamenti terapeutici e farmacologici di particolare rilievo, il Giudice ha quindi ritenuto le stesse avvinte dal nesso di inscindibilità siccome dirette alla tutela dell’unico diritto alla salute.

La decisione finale

Dalle considerazioni tutte che precedono, il Giudice ha quindi fatto discendere, quale logica conseguenza, che i relativi oneri economici avrebbero dovuto essere posti a carico del Servizio Sanitario Nazionale, e giammai sostenuti dalla paziente, né dai suoi familiari, con conseguente declaratoria di nullità del contratto stipulato con la casa di cura per mancanza di causa.

Venuto meno l’obbligo di pagamento, ha dunque trovato pieno accoglimento la domanda di ripetizione dell’indebito presentata dall’erede della paziente, a cui favore è stato così riconosciuto, a fronte dei costi sostenuti per le rette di degenza, il rimborso dell’importo di oltre 161 mila euro, oltre interessi dalla data in cui, dopo il decesso della paziente, era stata stragiudizialmente richiesta la restituzione.

Il supporto di Consulcesi & Partners

In un sistema che spesso non riesce a garantire posti adeguati nelle RSA, molti cittadini si ritrovano a sostenere costi che in realtà dovrebbero essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. È in questi casi che far valere i propri diritti diventa non solo legittimo, ma necessario.

Consulcesi & Partners è al fianco dei pazienti e delle loro famiglie con un’azione legale mirata e fondata sulle più recenti pronunce dei Tribunali italiani. L’obiettivo? Ottenere il rimborso integrale delle rette RSA pagate ingiustamente, anche per degenze passate.

Rette RSA: quando e come fare ricorso

Hai avuto un familiare con Alzheimer o altra grave patologia ricoverato in una RSA? Potresti avere diritto a un rimborso importante.

Ecco cosa puoi fare:

✅ Chi può presentare ricorso
Il paziente, i familiari, il tutore legale o gli eredi.

✅ Documenti necessari
Cartella clinica, ricevute di pagamento, eventuale documentazione sanitaria che dimostri la prevalenza delle cure sanitarie.

✅ Come si procede
Grazie al lavoro congiunto dei nostri avvocati e medici-legali, promuoviamo un’azione legale volta a ottenere il riconoscimento della natura sanitaria dell’assistenza. In molti casi, i rimborsi riconosciuti superano i 50.000 euro.

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