Si può rifiutare di effettuare una terapia salvavita per paura del contagio? La Cassazione chiarisce
paura contagio Cassazione

Un caso che fa discutere il mondo sanitario: cosa succede quando il timore per la propria salute entra in conflitto con il dovere di cura verso i pazienti?

Il 4 settembre 2025, con l’ordinanza n. 24562/2025, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande delicatezza per il settore sanitario: la legittimità del licenziamento di un infermiere che aveva rifiutato di somministrare terapie salvavita a un paziente infetto, motivando la sua decisione con il timore di contagio e con la presunta inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale (DPI) forniti dalla struttura.

Il caso

L’infermiere, trovandosi di fronte a un paziente ad alto rischio infettivo, ha deciso autonomamente di non procedere alla somministrazione della terapia. Secondo la sua valutazione personale, i DPI messi a disposizione non garantivano una protezione sufficiente contro il contagio.

La direzione sanitaria ha considerato questa scelta come una grave violazione degli obblighi contrattuali e deontologici, irrogando la sanzione più dura: il licenziamento.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha confermato la legittimità del provvedimento disciplinare. In particolare, ha ribadito che:

  • ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 81/2008 (Testo unico sulla sicurezza) e dell’art. 2104 c.c. (dovere di diligenza del lavoratore), l’operatore sanitario non può sospendere o omettere la prestazione sulla base di una valutazione soggettiva del rischio;
  • la scelta di non erogare cure salvavita, senza aver prima attivato i canali di segnalazione interni, rappresenta una violazione grave dei doveri professionali;
  • il timore personale, seppur legittimo, non può giustificare un rifiuto che mette in pericolo la vita del paziente.

Cosa insegna questa sentenza

Il principio espresso dalla Cassazione è chiaro: la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale, ma non può essere gestita con decisioni individuali e unilaterali che compromettano la tutela dei pazienti.

La strada corretta, in casi come questo, è quella di:

  • segnalare immediatamente eventuali carenze dei DPI o rischi per la salute ai responsabili di reparto o agli organi di sicurezza aziendali;
  • attendere indicazioni ufficiali prima di astenersi da prestazioni essenziali;
  • documentare le condizioni operative per poter eventualmente far valere le proprie ragioni in sede legale.

Un monito per tutti i professionisti sanitari

La vicenda mette in luce la fragilità dell’equilibrio tra diritto del lavoratore alla sicurezza e dovere di cura verso i pazienti.
Agire senza confronto con la struttura espone non solo a responsabilità disciplinari, ma anche a conseguenze giuridiche potenzialmente irreversibili, come il licenziamento.

Come tutelarsi

Il caso dell’infermiere licenziato rappresenta un precedente importante: la sicurezza deve essere garantita dal datore di lavoro, ma non può essere invocata per giustificare un rifiuto unilaterale della prestazione, soprattutto quando in gioco c’è la vita di un paziente.

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