Tardiva diagnosi di una malattia dall’esito infausto e responsabilità del medico.

In caso di diagnosi tardiva di una malattia che avrebbe comunque avuto un esito infausto per la paziente sussiste comunque la responsabilità del sanitario per i danni derivanti dalla mancata informazione.   

La diagnosi errata

La Corte di Cassazione sez. III civile si è recentemente pronunciata con la sentenza 34813 del 17 novembre 2021 in un caso di tardiva diagnosi da parte di un dermatologo riguardo ad una patologia ad esito infausto.

L’annosa vicenda risale addirittura all’ottobre del 1988 allorché il medico dermatologo avrebbe erroneamente diagnosticato un’affezione cutanea presente sull’alluce del piede sinistro come onicomicosi, anziché in melanoma maligno che, soltanto l’anno successivo, veniva effettivamente riscontrato a seguito di esami approfonditi prescritti dal medesimo sanitario.

Le richieste degli eredi della paziente

In sede di giudizio è stato appurato che il ritardo nella diagnosi non avrebbe in ogni caso influito sull’esito infausto della malattia, ma gli attori (eredi della paziente nel frattempo deceduta) si dolevano del fatto che se la paziente fosse stata tempestivamente informata della patologia infausta, avrebbe avuto la possibilità di determinarsi liberamente riguardo alla scelta del percorso di vita da attuare.

La Corte ha accolto il motivo di censura proposto dai ricorrenti sotto lo specifico aspetto della lesione del diritto all’autodeterminazione. Sebbene una diagnosi precoce non avrebbe comunque influito sul decorso ormai irreversibile della malattia, tale omissione avrebbe comunque provocato un danno, non tanto al bene salute, quanto a quello di poter scegliere come spendere la residua parte della propria vita.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Nell’accogliere il motivo di ricorso, la Terza Sezione ha quindi ricordato la distinzione fra lesione del diritto all’autodeterminazione e lesione da perdita di chance, ripetendo che “la condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull’esito finale, rilevando di converso, sulla sola (e diversa) qualità ed organizzazione della vita del paziente (anche sotto l’aspetto del mancato ricorso a cure palliative)”. Dunque “l’evento di danno (e il danno risarcibile) sarà in tal caso rappresentato da tale (diversa e peggiore) qualità della vita (intesa altresì nel senso di mancata predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo residuo), conseguente alla lesione del diritto di autodeterminazione, purché allegato e provato (senza che, ancora una volta, sia lecito evocare la fattispecie della chance)”.

Nell’ambito della responsabilità medica, viene allora consacrata la risarcibilità del danno derivante dall’aver precluso al paziente, per l’omessa o tardiva diagnosi di una patologia terminale, la possibilità di scegliere “come vivere e cosa fare” sia riguardo alle soluzioni palliative messe a disposizione dalla scienza medica, sia con riferimento all’esplicazione del suo essere persona fino all’esito finale.

 

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