Cause pretestuose contro i medici e sanzioni

Sempre più spesso si sente parlare della presunta necessità di una legge volta a punire coloro che diano avvio a cause pretestuose. È importante però ricordare che gli strumenti giuridici per sanzionare, in realtà, già esistono: vanno sotto il nome di “condanna alle spese” e “responsabilità aggravata” o, più semplicemente, lite temeraria.

Si dovrebbe stimolare la magistratura a farne ricorso in modo più deciso, evitando compensazioni di spese che (seppur in buona fede) diventano un buon viatico per quelle società che hanno fatto della “malpratice medica” il loro core business.

La normativa in vigore

 L’art. 96 bis c.p.c. stabilisce che: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza……in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Questo significa che il Giudice, sempre che gli venga richiesto dal legale del medico, nel respingere la domanda del paziente può non soltanto condannarlo alle spese (ed ormai la compensazione dovrebbe essere sempre più ipotesi residuale in virtù del novellato art. 91 c.p.c.), ma anche al risarcimento dei danni qualora sia dimostrata la consapevolezza o nell’ignoranza colpevole dell’infondatezza della propria tesi ed il pregiudizio occorso. Ma altresì è possibile – lo afferma il comma terzo – che il Giudice possa d’ufficio condannare al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte vittoriosa.

Le cause pretestuose sulla responsabilità medica

Nei casi di responsabilità sanitaria, l’aver introdotto una causa nei confronti del medico sulla scorta di una tesi palesemente infondata (ad es. perché mancano le prove dei fatti addotti, ovvero perché la CTP è basata su ragioni scientificamente insostenibili) potrebbe individuare il profilo soggettivo, mentre il danno scaturirebbe dal pregiudizio all’immagine ed alla professionalità del sanitario incriminato.
Ma in ogni caso, proporre una domanda palesemente infondata e quindi pretestuosa può essere, oggi, foriero sia di una condanna alle spese, ma anche di una “sanzione” economica.

Utilizzo delle Linee Guida per la valutazione preliminare

 Con l’introduzione del parametro delle Linee Guida contenute nell’archivio del SNLG, il paziente che intenda attivarsi nei confronti di un medico dovrebbe sempre preliminarmente tener conto di ciò che è stabilito dalle Linee Guida, che di fatto potrebbero essere interpretate alla stessa stregua di una normativa cd. “integrativa” per valutare la colpa. Questo significa che, spingendosi oltre nel ragionamento, si potrebbe giungere ad affermare che, ogni qual volta, la soluzione del caso di malpratice poteva essere agevolmente rintracciata già da una accurata consultazione dell’archivio delle LG, il paziente soccombente potrebbe essere condannato ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. per lite temeraria, venendo altresì riconosciuto il danno all’immagine al medico vittorioso (ad es. nel suo ambiente professionale).

La valutazione nella giurisprudenza

Giova ricordare in questa sede quanto espresso dalla Corte di Cassazione (15209/18) si è occupata più specificatamente proprio dell’art. 96 c.p.c. al quale ha riconosciuto una funziona sanzionatoria dovuta alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo: “la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione”.

 

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