Infortunio sul lavoro e infezione da Covid-19: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere riconosce il 13% di postumi permanenti – Approfondimento alla sentenza n. 430/2025 

La sentenza n. 430/2025 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rappresenta un’importante tappa nella giurisprudenza relativa agli infortuni da Covid-19, soprattutto in materia di riconoscimento dei postumi permanenti e del nesso causale tra contagio e attività lavorativa. Il caso affrontato dal giudice del lavoro Fabiana Iorio offre infatti una chiara applicazione dei principi di diritto emersi nel periodo post-pandemico e dimostra come la tutela assicurativa INAIL possa estendersi efficacemente anche alle conseguenze respiratorie e psicologiche che alcuni lavoratori hanno subito dopo il contagio. 

Il caso: la richiesta del lavoratore e la contestazione dell’INAIL 

Il ricorrente, dipendente di una struttura che non viene nominata in sentenza, ha riferito di aver contratto il Covid-19 durante lo svolgimento delle proprie mansioni nel 2020. L’infezione aveva comportato una polmonite interstiziale e, successivamente, l’insorgenza di una fibrosi polmonare e di un disturbo dell’adattamento, con sintomi che continuavano a incidere sulla sua vita quotidiana. Secondo l’INAIL, questi postumi determinavano una menomazione pari all’8%; secondo il lavoratore, invece, l’invalidità era più elevata. Per questo ricorreva al Tribunale.  

Accertate le basi della tutela assicurativa e riconosciuto dallo stesso Istituto che il contagio era avvenuto in occasione di lavoro, la controversia verteva esclusivamente sulla quantificazione del grado di menomazione biologica permanente

Il ruolo decisivo della consulenza tecnica d’ufficio (CTU) 

Il Tribunale ha disposto una consulenza medico-legale, svolta con metodo rigoroso e fondata sia sull’esame diretto del lavoratore, sia sulla documentazione specialistica in atti. 

Il CTU ha accertato: 

  • 10% per esiti respiratori da interstiziopatia post-Covid (fibrosi polmonare con sfumata insufficienza respiratoria); 
  • 3% per disturbo dell’adattamento cronico legato all’evento; 
  • 1% derivante da una preesistenza (trauma cervicale). 

Totale: 13% di danno biologico permanente. 
 

Uno dei punti più interessanti della relazione peritale è l’utilizzo del concetto di “valutazione sincretica”, ovvero una valutazione d’insieme che tiene conto dell’effetto combinato di lesioni fisiche e psichiche. È un approccio che riflette la complessità degli esiti del Covid-19, soprattutto in soggetti con condizioni pregresse o con residui sintomatologici multiorgano. 

Il CTU ha anche indicato la decorrenza dei postumi permanenti, fissandola alla data della visita (aprile 2024), poiché la fibrosi polmonare era ormai stabilizzata.  

Il Tribunale ha ritenuto la perizia coerente, priva di contraddizioni e perfettamente aderente alle tabelle medico-legali di riferimento. Di conseguenza, l’ha integralmente recepita.  

La decisione: riconosciuto il 13% e accolta la domanda del lavoratore 

Sulla base degli accertamenti peritali, il giudice ha: 

  • accolto il ricorso
  • riconosciuto il diritto del lavoratore alle prestazioni economiche INAIL per postumi superiori al 6%; 
  • condannato l’INAIL a riliquidare l’indennizzo in base al nuovo grado di menomazione; 
  • disposto la compensazione delle spese tra le parti, ponendo però a carico dell’INAIL le spese della CTU. 

È importante ricordare che, per legge, quando la menomazione permanente supera il 6% ma è inferiore al 16%, al lavoratore spetta un indennizzo economico in capitale (art. 13 D.lgs. 38/2000). 
Quando è superiore al 16%, invece, si apre il diritto alla rendita vitalizia

Nel caso di specie, il 13% colloca il lavoratore nella fascia intermedia: niente rendita, ma indennizzo considerevolmente superiore rispetto all’8% riconosciuto dall’INAIL in fase amministrativa. 

Il quadro normativo: perché il Covid è considerato infortunio sul lavoro 

La sentenza si colloca perfettamente nel solco normativo inaugurato durante la pandemia

  • L’art. 42 del d.l. 18/2020 qualifica le infezioni da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro come infortuni a tutti gli effetti, con obbligo di denuncia da parte del medico certificatore. 
     
  • Il DPR 1124/1965 richiede, ai fini della tutela, che l’evento sia avvenuto per “causa violenta” in occasione di lavoro. Qui il giudice applica la giurisprudenza consolidata secondo cui i virus rientrano tra le cause violente, purché l’esposizione sia avvenuta sul luogo o in occasione delle mansioni. 
     
  • La Cassazione ha più volte affermato che l’“occasione di lavoro” ricomprende tutte le condizioni ambientali, sociali ed economiche in cui si svolge l’attività, non solo rischi specifici (Cass. 2015; Cass. 2004). 

Grazie a questo impianto normativo e giurisprudenziale, il giudice riconosce senza esitazioni il nesso causale tra contagio e attività lavorativa. 

Perché questa sentenza è importante? 

Questa pronuncia non è rilevante solo per il singolo caso, ma per tre motivi di carattere generale. 

1) Riconosce la complessità del “long Covid” e degli esiti polmonari 

La CTU valorizza il dato radiologico (TC torace) e la persistenza di una forma di insufficienza respiratoria, anche se non documentata al 100% da test funzionali. È un passaggio importante, perché non sempre gli esami funzionali sono significativi nei pazienti con fibrosi post-Covid lieve. 
Il giudice recepisce questa impostazione moderna e realistica.  

2) Sancisce la rilevanza dei disturbi psichici come esiti da infortunio 

Il disturbo dell’adattamento contribuisce con un 3% ma ha un peso giuridicamente significativo. La sentenza conferma che: 

  • gli esiti psichici post-traumatici, anche moderati, 
  • se collegati all’evento e adeguatamente documentati, 

devono essere valorizzati nella valutazione medico-legale infortunistica

3) Riafferma che il giudizio del tribunale prevale su quello amministrativo dell’INAIL 

L’INAIL aveva riconosciuto un 8%, ma il giudice — grazie alla CTU — quantifica un danno maggiore (13%), affermando il primato del giudizio giurisdizionale. 
Questo è fondamentale perché: 

  • l’indennizzo INAIL non è “cristallizzato”; 
  • il lavoratore può sempre contestare la valutazione amministrativa; 
  • la CTU rappresenta il vero momento di accertamento della menomazione. 

Una sentenza che aiuta a comprendere il futuro del contenzioso post-Covid 

La Sentenza n. 430/2025 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è un esempio chiaro e autorevole di come la giurisprudenza stia gestendo i casi di infezioni professionali da Covid-19 e i loro esiti tardivi. 

Il giudice: 

  • applica correttamente la normativa emergenziale; 
  • valorizza in modo integrato gli esiti fisici e psicologici; 
  • chiarisce il ruolo centrale della CTU nella determinazione dei postumi; 
  • dimostra attenzione alle peculiarità del long Covid e delle interstiziopatie post-infettive. 

È una sentenza che avrà certamente un peso pratico nei procedimenti futuri, specialmente per i lavoratori che continuano a presentare esiti respiratori o psicologici dopo il contagio. 

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