Il Tribunale di Salerno, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 616 del 25 marzo 2024, ha affrontato un caso particolarmente rilevante in tema di demansionamento del personale sanitario. Un infermiere aveva infatti citato in giudizio la propria azienda sanitaria, sostenendo di essere stato costretto per anni a svolgere mansioni inferiori, tipiche degli operatori socio-sanitari (OSS), chiedendo un risarcimento di circa 77.000 euro per i danni patrimoniali e morali subiti.
Secondo la ricostruzione del lavoratore, per un lungo periodo era stato assegnato a reparti ospedalieri privi di personale OSS, dovendo quindi occuparsi in via continuativa di attività non proprie del suo profilo professionale, come il rifacimento dei letti, la somministrazione dei pasti, la cura dell’igiene dei pazienti e altre mansioni di tipo assistenziale e domestico. Tali compiti, a suo dire, avrebbero comportato un grave svilimento della professionalità infermieristica, nonché un danno fisico e psicologico, in quanto costretto a movimentare pazienti e carichi senza adeguato supporto.
Le difese dell’azienda sanitaria
L’azienda sanitaria resistente ha invece sostenuto che le attività svolte dal dipendente rientravano nell’ambito della normale collaborazione clinico-assistenziale, e che l’infermiere aveva comunque continuato ad esercitare, in via prevalente, le proprie funzioni sanitarie tipiche.
L’assenza di personale OSS, ha aggiunto l’amministrazione, era dovuta a vincoli di spesa e riorganizzazione del servizio, e non poteva tradursi automaticamente in un demansionamento illegittimo.
La decisione del giudice: nessun demansionamento, attività accessorie legittime
Il giudice del lavoro, dopo aver ascoltato i testimoni e analizzato la documentazione, ha rigettato integralmente il ricorso dell’infermiere. Secondo il Tribunale, le mansioni di tipo “inferiore” svolte dal ricorrente – come cambiare le traverse o fornire i pasti – erano accessorie e non prevalenti, e comunque non del tutto estranee alla professionalità infermieristica, che include la responsabilità dell’assistenza generale al paziente.
La sentenza sottolinea che l’articolo 52 del Decreto Legislativo 165/2001, applicabile al pubblico impiego, vieta sì l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, ma ammette eccezioni quando queste siano strumentali e temporanee, e purché l’attività principale resti quella corrispondente alla qualifica. Inoltre, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che l’infermiere, in quanto responsabile dell’assistenza generale, può legittimamente svolgere anche compiti di natura più elementare, se ciò serve a garantire la continuità del servizio e la cura del paziente.
Il Tribunale ha quindi stabilito che nel caso concreto non vi era stato alcun impoverimento professionale, né una prevalente adibizione a mansioni inferiori. Le attività di supporto, svolte anche da altri colleghi, non avevano inciso sulla qualifica né sul bagaglio tecnico del dipendente.
Condanna alle spese e principio ribadito
Oltre al rigetto della domanda, il lavoratore è stato condannato a rimborsare all’azienda sanitaria le spese di giudizio, quantificate in oltre 1.400 euro. La decisione ribadisce un principio importante: non ogni mansione di tipo inferiore comporta automaticamente un demansionamento. Per ottenere un risarcimento, il lavoratore deve dimostrare che tali attività siano state prevalenti, continuative e lesive della professionalità in modo oggettivo e non occasionale.
Telemedicina, turni e carenze di organico: un contesto complesso per gli operatori
La sentenza del Tribunale di Salerno si inserisce in un contesto più ampio in cui il personale sanitario, spesso ridotto a causa delle carenze di organico, si trova a dover svolgere mansioni trasversali. Con l’evoluzione della telemedicina e la digitalizzazione dei processi sanitari, il confine tra ruoli professionali tende a diventare più flessibile, ma resta fondamentale che le mansioni principali corrispondano alla qualifica contrattuale e che il personale sia tutelato contro eccessivi carichi di lavoro o rischi fisici.
Consiglio legale: documentare sempre e agire solo con prove solide
Come evidenziato da questa decisione, in materia di demansionamento la prova è determinante. Il lavoratore che ritenga di essere impiegato in mansioni inferiori deve raccogliere elementi concreti e oggettivi, come ordini di servizio, turni, testimonianze o relazioni mediche che attestino l’effettivo svilimento professionale o fisico.
Un consiglio legale utile è quello di non agire d’impulso, ma di rivolgersi subito a un avvocato del lavoro per valutare la fondatezza del caso e tentare, se possibile, una soluzione stragiudiziale con l’amministrazione o il datore di lavoro. Solo in presenza di una documentazione solida e di una prova della prevalenza e continuità delle mansioni inferiori è realistico pensare a un risarcimento.
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