La sentenza n. 288 del 21 maggio 2025 del Tribunale di L’Aquila rappresenta uno dei casi recenti più significativi in tema di responsabilità sanitaria applicata alla chirurgia bariatrica. Il caso, per la sua complessità tecnica e per le conseguenze drammatiche subite dalla paziente, segna un punto importante nell’interpretazione giudiziale dei protocolli chirurgici, delle linee guida e dell’obbligo di adeguata scelta tecnica “caso per caso”.
Un intervento ritenuto “semplice” che si trasforma in un lungo calvario
La paziente era stata ricoverata il 15 gennaio 2020 per sottoporsi il giorno seguente a un intervento di mini-bypass gastrico, programmato come chirurgia mininvasiva e con tempi di recupero rapidi. Dalle sue condizioni iniziali nulla lasciava presagire ciò che sarebbe accaduto dopo.
Come emerge dalla sentenza, a seguito dell’intervento del 16 gennaio 2020 la donna ha iniziato a manifestare un quadro infiammatorio e settico crescente e persistente, che l’ha costretta nei mesi successivi a ben dieci ulteriori interventi chirurgici e a numerosi ricoveri per infezioni nosocomiali, incluse polmoniti da Acinetobacter, fino alla necessità di un undicesimo intervento di resezione intestinale eseguito al Policlinico Gemelli di Roma .
Uno degli elementi più critici ricostruiti dal giudice è la rottura di un trocar laparoscopico durante il primo intervento. I frammenti — come accertato in CTU — non furono completamente rimossi, contribuendo a complicanze infettive e fistole gravissime, poi risolte solo con l’ultimo intervento demolitorio.
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Perché il Tribunale riconosce la responsabilità della struttura sanitaria
Il giudice, seguendo l’impostazione della Legge Gelli-Bianco, ricostruisce la responsabilità della struttura come contrattuale, sottolineando come l’onere di dimostrare la corretta esecuzione della prestazione sanitaria ricada sulla struttura stessa.
Il punto centrale riguarda l’errore tecnico del team chirurgico nella gestione dell’intervento. Durante la procedura, la paziente presentava un quadro di aderenze addominali particolarmente esteso, già documentato in cartella. Una situazione, questa, che avrebbe richiesto — secondo i consulenti d’ufficio — la conversione in laparotomia (“open”) per tutelare la sicurezza della paziente.
La scelta di proseguire comunque in laparoscopia, nonostante la scarsa visibilità e la complessità generata dalle aderenze, viene ritenuta non conforme al comportamento esigibile secondo le regole della buona pratica clinica. Il Tribunale ribadisce infatti che, pur potendo le linee guida costituire un parametro di orientamento, esse non hanno valore assoluto, né possono giustificare una condotta che non tenga conto del caso concreto e delle condizioni specifiche del paziente.
A questa scelta tecnica discutibile si aggiunge la gestione della rottura del trocar, evento che — pur potendo astrattamente rientrare tra le complicanze possibili — richiede obbligatoriamente l’asportazione completa di tutti i frammenti. Così non è stato. La CTU evidenzia con chiarezza che tale omissione ha contribuito alle successive complicanze settiche e alla formazione delle fistole enterocutanee.
La valutazione del nesso causale
Il Tribunale abbraccia la regola civilistica del “più probabile che non”, affermando che senza quegli errori tecnici le complicanze non si sarebbero verificate o avrebbero avuto un decorso completamente diverso. Il ruolo di obesità e diabete, presenti nella paziente, viene riconosciuto come concausale ma non determinante, ribaltando l’impostazione difensiva della struttura.
Perché il consenso informato non costituisce un profilo di responsabilità
Interessante è il passaggio dedicato al consenso informato. Pur essendo una delle voci frequentemente accertate nei giudizi di responsabilità medica, in questo caso il Tribunale lo ritiene adeguatamente prestato.
Il modulo firmato dalla paziente era specifico per l’intervento di mini-bypass gastrico, corredato da materiale informativo dettagliato sui rischi, incluse le possibili complicanze post-operatorie. Per il giudice, dunque, non sussiste alcuna violazione del diritto all’autodeterminazione, e la doglianza viene integralmente respinta.
Il risarcimento: più di 370 mila euro, oltre rivalutazione e interessi
Le conclusioni dei consulenti tecnici sono drammatiche: la donna ha riportato un’invalidità permanente del 45%, con compromissione della funzione digestiva, cicatrice laparotomica, aderenze e importanti ripercussioni psicologiche. A ciò si sommano quasi 450 giorni di invalidità temporanea nelle diverse percentuali.
Applicando le Tabelle del Tribunale di Milano 2024, il giudice liquida:
- oltre 328 mila euro per l’invalidità permanente,
- più di 41 mila euro per l’invalidità temporanea,
- per un totale di 370.044,50 euro, oltre rivalutazione ISTAT dal giorno del fatto, interessi compensativi e interessi legali fino al saldo
La struttura è inoltre condannata a sostenere tutte le spese processuali, comprese le spese della CTU.
Cosa insegna questa sentenza a professionisti sanitari e strutture?
La chirurgia bariatrica non è “semplice”: occorre una gestione rigorosa delle complicanze intraoperatorie
Il caso dimostra che il mini-bypass gastrico — spesso percepito come intervento routinario — richiede in realtà una elevatissima attenzione quando emergono elementi che rendono la procedura più complessa. Le aderenze massicce sono uno di questi elementi, e dovrebbero spingere il chirurgo a rivalutare tempestivamente la tecnica.
Per gli operatori sanitari la lezione è chiara:
non è mai la procedura programmata a dettare la tecnica chirurgica, ma il quadro clinico intraoperatorio.
Le linee guida non sono uno scudo
Il Tribunale ribadisce con forza un principio già presente in Cassazione:
le linee guida indicano una direzione, ma non possono sostituire il giudizio clinico e non proteggono dalla responsabilità quando il caso concreto richiede scelte diverse.
Per le strutture sanitarie è un richiamo alla necessità di:
- aggiornare costantemente i protocolli,
- rafforzare la formazione continua,
- implementare sistemi di audit clinico e risk management realmente operativi.
La CTU come elemento cardine nei giudizi di malpractice
La sentenza valorizza la consulenza tecnica come “prova percipiente”.
Nella pratica, ciò significa che una cartella clinica incompleta, una gestione non documentata o una scarsa tracciabilità delle decisioni cliniche può essere fatale per la difesa della struttura.
Una corretta documentazione clinica resta uno degli strumenti più efficaci di medicina difensiva virtuosa.
Consenso informato: quando è fatto bene, protegge davvero
In un panorama giudiziario in cui spesso il consenso informato è contestato come generico, questa decisione offre un esempio di modulo ben redatto, completo, personalizzato e consegnato insieme a materiale informativo.
È un richiamo concreto per le strutture:
un buon consenso informato non è un modulo prestampato, ma un processo comunicativo completo, documentato, comprensibile.
Il risarcimento del danno biologico: un approccio sempre più personalizzato
La liquidazione del danno rispecchia gli orientamenti più recenti, che distinguono:
- sofferenza interiore,
- peggioramento della vita relazionale,
- impatto funzionale,
evitando duplicazioni ma riconoscendo tutte le componenti del danno non patrimoniale.
Per il settore medico-legale, il messaggio è la crescente centralità del danno dinamico-relazionale e della valutazione psicologica post-evento.
Una sentenza che parla al futuro della responsabilità sanitaria
La Sentenza n. 288/2025 del Tribunale di L’Aquila è importante perché:
- richiama i chirurghi all’obbligo di adeguamento tecnico al caso concreto;
- ribadisce la necessità di una documentazione accurata;
- valorizza la CTU come strumento fondamentale;
- conferma che il consenso informato può costituire vera tutela se gestito correttamente;
- offre un modello di liquidazione del danno coerente con gli orientamenti più evoluti della Cassazione.
È una decisione che si inserisce pienamente nel percorso di evoluzione della responsabilità sanitaria post-Legge Gelli, e che fornisce indicazioni operative preziose per gli operatori sanitari.





