L’emergenza sanitaria derivante dal Covid- 19 ha determinato un potenziale profilo di responsabilità a carico del datore di lavoro che, in modo sempre più pressante, è chiamato ad adottare puntualmente tutte le misure di informazione, le cautele e le precauzioni sanitarie volte a garantire la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
Innanzitutto, va evidenziato come il contagio da coronavirus debba essere considerato dal datore di lavoro e dall’Inail come un infortunio sul lavoro.
In tal senso, infatti, si è espresso il Decreto Cura Italia (art. 42 DL. 18/2020), cui sono seguite 2 successive circolari interpretative Inail che, pienamente accogliendo l’indicazione normativa, hanno ripetuto che il contagio Covid deve essere inquadrato e trattato come infortunio sul lavoro, poiché la causa virulenta è equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio.
In data 14/3/2020 è stato adottato il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro” al fine di coniugare la prosecuzione dell’attività produttiva con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro, poi successivamente integrato con ulteriori provvedimenti chiarificatori ed estensivi delle iniziative cautelari e preventive imposte dal datore di lavoro.
Costui riveste dunque una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori e dei terzi che entrino in contatto con l’ambiente lavorativo, è dunque titolare dell’obbligo giuridico di impedire che chiunque contragga il Covid- 19 sul luogo di lavoro.
Ai sensi degli artt. 17 e 18 D.Lgs n° 81/2008 è il principale soggetto responsabile della sicurezza dei lavoratori ed ha l’obbligo di predisporre e controllare personalmente la corretta attuazione delle misure di sicurezza in azienda.
Per ridurre il rischio di incorrere in un processo per lesioni colpose o omicidio colposo, il datore di lavoro deve quindi adottare tutte le misure atte a contenere la diffusione del Covid all’interno dell’ambiente lavorativo.
La responsabilità del datore di lavoro (che, per la gestione dell’emergenza Covid 19, potremmo quasi definire “protocollare”) è dunque ipotizzabile in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche che, di fatto, si possono ritrovare nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del D.L. n. 33 del 16 maggio 2020.
Tra gli obblighi si annoverano quelli di informazione e formazione, di adozione di misure di prevenzione (distanziamento sociale sul posto di lavoro, fornitura di dispositivi di protezione, organizzazione di turni di lavoro e del lavoro agile) e di sorveglianza sull’adozione, da parte dei lavoratori, delle misure di prevenzione adottate.
A tal fine, deve poi preoccuparsi di aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) per innalzare il livello di sicurezza aziendale ed adeguare le misure di prevenzione alle nuove esigenze di contrasto al Covid-19.
La Cassazione, in una recentissima sentenza (Sez. IV n. 13575 del 5/5/2020), ha infatti riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro seguendo un giudizio ipotetico e statuendo che la consegna di dispositivi idonei e l’adeguamento del DVR avrebbero contribuito in modo rilevante ad evitare l’infortunio.
Mutuando tale orientamento giurisprudenziale, può quindi configurarsi a carico del datore di lavoro una responsabilità penale, ex art. 40, II comma, c.p. per il reato di lesioni colpose o di omicidio colposo qualora ricorrano le seguenti condizioni:
Trattasi, tuttavia, di prova estremamente difficile da raggiungere per il Pubblico Ministero poiché deve dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che le lesioni o la morte siano derivate da un’infezione da Covid19 contratta nel contesto lavorativo e non all’esterno, che non siano conseguenza di altre patologie e che il contagio sia derivato dall’omessa adozione di idonee misure per prevenire il contagio.
Tale prova – a dire il vero – potrebbe essere più immediata per i pazienti ricoverati negli ospedali e nelle RSA poiché, non avendo contatti con l’esterno, è più agevole dimostrare che abbiano contratto il virus all’interno della struttura sanitaria ove sono ricoverati.
Ed è proprio per questo che le denunce a carico dei sanitari e dei vertici aziendali delle RSA stanno, in questi mesi, proliferando in modo considerevole.