Nel dibattito sul benessere lavorativo, due parole ricorrono sempre più spesso: mobbing e straining. Sono termini entrati nel linguaggio comune, ma non sempre sono usati correttamente. Anzi: in molti casi vengono confusi, mescolati, sovrapposti.
Da giurista, ti dico una cosa molto semplice: capire la differenza non è solo un esercizio teorico, ma un passaggio fondamentale per sapere che diritti hai, quali prove servono e quali responsabilità possono scattare per il datore di lavoro.
Per questo vale la pena fare chiarezza, con un linguaggio diretto e senza tecnicismi inutili.
Che cos’è il mobbing?
Quando parliamo di mobbing, ci riferiamo a una serie di comportamenti ostili, ripetuti nel tempo, che hanno come effetto – e spesso come vero e proprio scopo – quello di isolare, svalutare o spingere fuori un lavoratore.
Immagina una goccia che cade sempre sullo stesso punto: magari la prima volta non ti accorgi nemmeno che c’è, ma nel tempo scava.
Il mobbing funziona così:
- tanti episodi;
- spesso piccoli, a volte più gravi;
- ma sempre ripetuti, insistiti, sistematici.
Può trattarsi di esclusioni dalle riunioni, commenti svalutanti, trasferimenti immotivati, demansionamenti, fino a veri e propri boicottaggi dell’attività lavorativa.
Il filo rosso è la continuità: un insieme di atti che, messi uno accanto all’altro, raccontano una volontà persecutoria o comunque producono un danno profondo.
E lo straining? Meno conosciuto, ma non meno dannoso
Lo straining, invece, rappresenta una categoria più recente, emersa nella letteratura psicologica e sempre più riconosciuta anche dalla giurisprudenza.
La sua caratteristica principale è molto chiara: non serve una serie continua di episodi.
A volte basta:
- un singolo comportamento gravissimo,
- o pochi episodi concentrati in un breve periodo,
- perché si generi un “stress forzato” duraturo e dannoso.
Potremmo definirlo come una forma “atipica” di vessazione lavorativa: meno seriale, più episodica, ma comunque capace di compromettere salute, serenità e prestazioni del lavoratore.
Per capirci meglio, lo straining può derivare da:
- un trasferimento punitivo senza motivo;
- una collocazione improvvisa in un ufficio isolato;
- l’esclusione totale dai flussi informativi;
- un atto organizzativo che ti mette in seria difficoltà senza che tu possa difenderti.
Un unico episodio? Sì, a volte può bastare.
Pur senza la “regia persecutoria” del mobbing, l’effetto può essere altrettanto devastante.
Dove sta, allora, la differenza?
Le distinzioni ci sono, e sono importanti.
Vediamole in modo semplice e concreto:
- Ripetitività:
- Mobbing: gli episodi sono tanti e distribuiti nel tempo.
- Straining: può esserci anche un solo atto, purché l’effetto sia duraturo.
- Intenzionalità:
- Mobbing: può emergere un vero “progetto” persecutorio.
- Straining: l’intento non è sempre chiaro, conta il risultato.
- Impatto sul lavoratore:
- in entrambi i casi si parla di stress, ansia, isolamento, malessere fisico e psicologico.
- Tutela giuridica:
- è la stessa: ciò che il giudice guarda non è l’etichetta, ma il danno e la violazione dell’art. 2087 c.c., che obbliga il datore a garantire un ambiente sicuro, anche dal punto di vista psicologico.
In altre parole: non è importante stabilire se “si tratta di mobbing o di straining”, ma dimostrare che il comportamento ha violato i tuoi diritti e ha danneggiato la tua salute o la tua dignità professionale.
Come si dimostra?
Che si tratti di mobbing o straining, le prove sono fondamentali.
Ecco ciò che serve, nella pratica:
- referti medici e psicologici, che attestino lo stato di stress o la correlazione con il lavoro;
- email, messaggi, ordini di servizio, tutto datato e conservato con ordine;
- testimoni, se possibile;
- segnalazioni interne al datore, all’RSPP o all’ufficio HR, anche via PEC;
- una cronologia dettagliata degli eventi: un vero diario professionale.
La giurisprudenza, negli ultimi anni, è molto chiara: senza prove concrete, il racconto – da solo – non basta.
Quali rimedi hai a disposizione?
Le tutele possibili sono diverse:
- risarcimento del danno davanti al Tribunale del lavoro;
- indennizzo INAIL, quando lo stress lavoro-correlato si configura come malattia professionale;
- azione disciplinare nei confronti dei responsabili;
- obblighi di prevenzione: il datore deve rimuovere le condizioni nocive e garantire un ambiente sano.
E attenzione: anche un’unica condotta sbagliata, se particolarmente impattante, può far scattare la responsabilità aziendale.
Non fermarti al nome, guardiamo la sostanza
Molti lavoratori si chiedono: “Questo è mobbing o straining?”
La verità è che spesso la distinzione è meno importante della domanda che davvero conta:
- Il comportamento che hai subito ti ha danneggiato?
- Era evitabile con una corretta gestione aziendale?
- Il datore di lavoro ha fatto ciò che doveva per proteggerti?
Se la risposta è “sì”, c’è una tutela possibile.
E il primo passo è sempre quello di capire e documentare ciò che accade.






