Con la sentenza n. 88/2025, il Tribunale di Rovigo ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa di una direttrice di un centro di formazione professionale, disponendo il pagamento di una indennità risarcitoria pari a 18 mensilità e confermando l’assenza degli elementi necessari per qualificare il recesso come sorretto da giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
La decisione si colloca in un filone giurisprudenziale recente che tende a distinguere con precisione tra gravità disciplinare della condotta e gravità sufficiente a interrompere il rapporto fiduciario, condizione essenziale per la giusta causa.
Il caso: scontro tra direttrice e vertici dell’ente
La lavoratrice, in servizio dal 2006 al dicembre 2023, era stata licenziata per giusta causa dopo un acceso confronto avvenuto durante un Consiglio di Direzione il 14 settembre 2023, nel quale – secondo la contestazione – avrebbe rivolto espressioni offensive al presidente e critiche all’intero organo direttivo.
Il Giudice del Lavoro, dopo un’approfondita istruttoria testimoniale, ha ritenuto provata la condotta ma non tale da configurare la giusta causa, poiché maturata:
• in un contesto relazionale deteriorato e noto a tutti i membri del Consiglio;
• come reazione emotiva e non premeditata;
• senza la presenza di minacce, violenza o turbamento psicologico dei presenti;
• senza veri elementi di “nocumento grave” all’ente.
Il Tribunale ha quindi escluso la proporzionalità della sanzione espulsiva, pur riconoscendo la rilevanza disciplinare del comportamento.
Perché non scatta la reintegrazione
La lavoratrice invocava la reintegrazione ai sensi dell’art. 18, commi 1-4, ma il giudice ha rilevato che:
• i fatti contestati sono effettivamente avvenuti;
• la condotta non è priva di rilievo disciplinare, pur non integrando giusta causa.
Di conseguenza, si applica il regime indennitario previsto dall’art. 18, comma 5, dello Statuto dei Lavoratori, che riguarda proprio i casi di illegittimità del licenziamento per sproporzione, ma non di “insussistenza del fatto”.
La tutela reintegratoria viene quindi esclusa.
L’indennità riconosciuta: 18 mensilità
Tenuto conto di:
• anzianità di 17 anni,
• dimensioni non ridotte dell’ente,
• tipologia della condotta contestata,
il Tribunale ha riconosciuto alla lavoratrice 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre contributi, interessi e spese legali.
Cosa significa questa sentenza?
La sentenza del Tribunale di Rovigo conferma un orientamento ormai solido: la giusta causa richiede un livello di gravità tale da rendere impossibile — anche solo temporaneamente — la prosecuzione del rapporto. Non basta un comportamento emotivo o conflittuale se manca l’elemento di “rottura irreversibile” del vincolo fiduciario.
Le condotte offensive, per quanto censurabili, vanno sempre valutate nel contesto: tensioni pregresse, rapporti deteriorati e assenza di reali danni per l’ente possono ridimensionarne la portata disciplinare.
Sul piano pratico, la decisione chiarisce ancora una volta la differenza tra insussistenza del fatto — che apre alla reintegrazione — e sproporzione della sanzione — che porta invece a un risarcimento economico. Elemento centrale, oggi, è la capacità delle parti di dimostrare in giudizio sia la materialità del fatto sia il suo effettivo rilievo disciplinare.
Le novità giurisprudenziali in materia di licenziamento illegittimo
La sentenza si inserisce nel quadro delle più recenti pronunce della Cassazione, che hanno chiarito alcuni punti chiave:
1. La “giusta causa” è una clausola elastica
Il giudice deve interpretarla secondo criteri etico-sociali e nel contesto concreto, non automaticamente secondo il CCNL. (Principi richiamati dal Tribunale nella motivazione)
2. Reintegrazione solo se il fatto è insussistente
Secondo la Cassazione, la reintegra è ammessa solo quando:
• il fatto non è mai avvenuto;
• oppure è avvenuto ma non ha rilevanza disciplinare né oggettiva né soggettiva.
3. Se il fatto c’è, ma non è grave, si passa alla tutela indennitaria
Esattamente come stabilito dal Tribunale di Rovigo: condotta reale, ma sproporzione della sanzione relativa a indennità e non reintegra.
4. Valore crescente del contesto
I giudici valutano oggi non solo il comportamento, ma anche:
• precedenti rapporti tra le parti,
• tensioni pregresse,
• ruolo ricoperto,
• presenza di provocazioni,
• impatto effettivo sull’organizzazione.
La sentenza del Tribunale di Rovigo rappresenta un caso emblematico per comprendere come la giurisprudenza stia trattando i licenziamenti disciplinari: non basta l’episodio conflittuale, serve la prova di una rottura definitiva e irreparabile del rapporto fiduciario.
Per datori di lavoro e lavoratori, questo significa:
• perché un licenziamento regga, deve essere adeguatamente istruito, contestualizzato e proporzionato;
• per chi impugna, è essenziale distinguere tra insussistenza del fatto e sproporzione della sanzione.






