Per “demansionamento” si intende l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto a quelle previste nel contratto di assunzione, oppure rispetto a quelle che effettivamente svolgeva fino a quel momento. Non si tratta di una semplice variazione organizzativa o cambio mansioni “laterale”: il demansionamento comporta un declassamento qualitativo — meno responsabilità, meno professionalità, spesso peggiori prospettive di carriera.
La norma di riferimento è l’articolo 2103 del Codice Civile, che stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto oppure, eventualmente, a quelle equivalenti o a quelle – se acquisite – di livello superiore. In sostanza, non è consentito assegnare arbitrariamente mansioni inferiori rispetto a quelle “pattuite”.
Quando il demansionamento può essere “legale”
Il nostro ordinamento non vieta in assoluto ogni tipo di variazione delle mansioni: ci sono casi in cui un’assegnazione a un livello inferiore può essere considerata legittima.
In particolare, può essere accettabile:
- nel contesto di riorganizzazioni aziendali, ristrutturazioni, mutamenti di attività o esigenze produttive dell’impresa.
- se il lavoratore acconsente oppure c’è un accordo collettivo o individuale che contempla la dequalificazione (nei limiti e con tutele) — incluso nel sistema definito dal cosiddetto Jobs Act.
- se le nuove mansioni sono “equivalenti” dal punto di vista della responsabilità, della competenza e della retribuzione — ossia non c’è una reale diminuzione del profilo professionale.
Quindi, il demansionamento “consensuale” o giustificato da ragioni aziendali può essere legittimo. Ma ogni variazione deve rispettare criteri di proporzionalità e non degenerare in semplice dequalificazione arbitraria.
Quando il demansionamento è illegittimo
Spesso il demansionamento legittimo non è il vero problema. Il rischio concreto è che:
- venga imposto senza giustificazioni reali, con l’obiettivo di penalizzare il lavoratore;
- riduca competenze, professionalità e prospettive di carriera in modo duraturo;
- si configuri come una forma di svalutazione professionale o peggio come “svuotamento delle mansioni”, ossia quando le mansioni vengono gradualmente azzerate o rese marginali.
In questi casi il demansionamento rappresenta una violazione dei tuoi diritti, perché:
- l’assegnazione a lavori inferiori non riflette l’accordo iniziale;
- si nuoce alla dignità professionale e alle possibilità di carriera;
- può compromettere il valore del tuo profilo sul mercato del lavoro futuro.
Quando il datore abusa del proprio potere — senza motivazioni oggettive, senza accordo e con conseguenze negative sul lavoratore — il demansionamento può configurarsi come illecito permanente.
Novità recenti e orientamenti giurisprudenziali 2024–2025
Negli ultimi mesi la questione del demansionamento ha registrato fatti e pronunce importanti — che ridefiniscono i contorni della tutela del lavoratore.
- Con l’ordinanza 7353/2024 della Corte di Cassazione la Suprema Corte ha annullato una sentenza che aveva confermato il demansionamento di un dipendente bancario, stabilendo che è necessaria una analisi concreta e dettagliata — non semplici etichette — per confrontare vecchie e nuove mansioni, in termini qualitativi e quantitativi.
- Sul piano del risarcimento: con la recentissima sentenza 24133/2025 della Corte di Cassazione (28 agosto 2025) è stato chiarito che spetta un risarcimento quando c’è trasferimento a mansioni inferiori — ma solo se il lavoratore dimostra concretamente il danno, patrimoniale o della professionalità.
- Inoltre, la pronuncia del 2025 relativa al pubblico impiego ribadisce che il demansionamento può essere ammesso solo in casi eccezionali: deve riguardare attività in qualche modo collegate alla qualifica originaria, avere motivazioni organizzative reali e restare marginale o temporaneo rispetto all’attività qualificante.
- In un’altra decisione recente del 2025, la Corte ha considerato come elemento importante per valutare un demansionamento anche il mancato aggiornamento tecnologico richiesto al lavoratore — specie in settori in rapida evoluzione: la perdita di adeguate competenze può configurare dequalificazione.
In sostanza: la giurisprudenza attuale tende a tutelare con maggiore forza la professionalità del lavoratore, richiedendo al datore di lavoro giustificazioni documentate e trasparenti, e riconoscendo che il demansionamento — soprattutto se duraturo — può comportare diritti al risarcimento o al reintegro.
Cosa puoi fare se sospetti un demansionamento illegittimo
Se pensi che la tua azienda ti abbia “demansionato”, valuta questi passaggi:
- Controlla il contratto di assunzione e le mansioni previste all’inizio: verifica se le nuove mansioni sono inferiori, non equivalenti o non riconducibili.
- Conserva ogni prova — mansioni svolte, comunicazioni aziendali, descrizioni del ruolo, email o altri documenti ufficiali.
- Valuta da quanto tempo perdura la situazione: un demansionamento isolato può essere meno rilevante; se è continuo, sistematico e in assenza di motivazioni, può essere contestato.
- Chiedi una revisione del tuo inquadramento oppure il ripristino delle mansioni originarie; in alternativa, valuta con un consulente del lavoro o un avvocato la possibilità di ottenere un risarcimento o il reintegro.
Se sei nel pubblico impiego, presta attenzione: il demansionamento è ammesso solo in casi marginali, occasionali e giustificati. nze organizzative non possono tradursi in una compressione permanente della professionalità del lavoratore.






