Licenziamento illegittimo: la chat WhatsApp privata non può essere usata come prova disciplinare
whatsapp

Con la sentenza n. 347 del 28 maggio 2025, il Tribunale di Modena, Sezione Lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a un dipendente di un’azienda operante nel settore biomedicale, accusato di aver introdotto un telefono cellulare in una “camera bianca”, ambiente sterile dove l’uso di dispositivi personali è vietato per ragioni di sicurezza.

La società aveva fondato il provvedimento su uno screenshot estratto da una chat WhatsApp privata tra colleghi, in cui appariva la fotografia di un lavoratore presumibilmente intento a utilizzare il cellulare all’interno della zona interdetta.

Il giudice del lavoro ha ritenuto inutilizzabile la prova digitale, chiarendo che la conversazione WhatsApp, anche se condivisa da uno dei partecipanti, rientra a pieno titolo nella corrispondenza privata tutelata dall’art. 15 della Costituzione, che sancisce il principio di inviolabilità e segretezza delle comunicazioni.

La tutela costituzionale della corrispondenza digitale

Richiamando un principio già espresso dalla Corte di Cassazione, il Tribunale ha evidenziato che la protezione della comunicazione privata si estende anche ai mezzi digitali, e non viene meno neppure se uno dei partecipanti alla conversazione decide di divulgarne il contenuto.

La chat privata, infatti, non è un luogo “pubblico” o accessibile liberamente: il consenso del partecipante non legittima l’acquisizione da parte del datore di lavoro, né l’utilizzo a fini disciplinari, poiché la privacy del destinatario e il diritto alla riservatezza del contenuto restano intatti.

Il giudice modenese ha così riconosciuto che la prova informatica acquisita in violazione della segretezza della corrispondenza è inutilizzabile in giudizio, analogamente a quanto avviene per prove raccolte in violazione della legge penale o dei principi fondamentali dell’ordinamento.

Il bilanciamento tra potere disciplinare e diritto alla riservatezza

La sentenza affronta uno dei temi più delicati nel diritto del lavoro contemporaneo: il bilanciamento tra il potere di controllo del datore e la tutela della privacy del lavoratore.

Da un lato, l’imprenditore ha diritto di vigilare sul corretto adempimento delle prestazioni e sul rispetto del regolamento aziendale; dall’altro, tale potere incontra limiti precisi, fissati dallo Statuto dei Lavoratori (art. 4 della legge n. 300/1970), dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) e dai principi costituzionali in materia di libertà personale e dignità umana.

In particolare, il controllo a distanza e la raccolta di dati personali devono sempre rispettare i requisiti di necessità, proporzionalità e trasparenza. Nel caso in esame, l’acquisizione di una chat privata tra dipendenti è stata ritenuta sproporzionata e lesiva, poiché realizzata fuori da qualsiasi procedura legittima di indagine disciplinare e senza il consenso del lavoratore interessato.

L’insufficienza della prova e la reintegra del lavoratore

Oltre al profilo di illegittimità della prova, il giudice ha osservato che nessun elemento oggettivo dimostrava la condotta contestata. Nessun collega aveva visto il lavoratore usare il cellulare, e la fotografia appariva scattata in un momento di pausa, senza prova dell’effettiva violazione del regolamento interno.

Il Tribunale ha pertanto dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, il risarcimento del danno fino a 12 mensilità di retribuzione e il versamento dei contributi previdenziali non corrisposti nel periodo di estromissione.

La pronuncia valorizza il principio secondo cui l’onere della prova disciplinare grava integralmente sul datore di lavoro, che deve dimostrare non solo la veridicità del fatto addebitato, ma anche la correttezza e liceità delle modalità di acquisizione della prova.

Un segnale per l’era digitale: la privacy prima di tutto

La decisione del Tribunale di Modena si inserisce in una tendenza giurisprudenziale che tende a rafforzare la tutela della dignità digitale del lavoratore. Nell’epoca dei social network e delle app di messaggistica, i confini tra vita privata e professionale diventano labili, ma la corrispondenza privata resta un ambito inviolabile, anche quando avviene attraverso mezzi informatici.

L’uso improprio di messaggi privati a fini disciplinari non solo può comportare l’inutilizzabilità della prova, ma anche responsabilità civile e sanzioni per violazione della privacy, ai sensi del Regolamento UE 2016/679 e del Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003, come modificato dal D.lgs. 101/2018).

Consiglio legale

Per le aziende, questa sentenza è un monito chiaro: prima di utilizzare comunicazioni private, foto o messaggi tratti da chat personali, è necessario verificarne la liceità e valutare se la loro acquisizione rispetti i principi di proporzionalità e necessità. Una prova ottenuta in modo illecito non solo non vale, ma può compromettere l’intero procedimento disciplinare. È sempre opportuno affidarsi a consulenti legali o responsabili privacy per valutare la correttezza dei controlli.

Per i lavoratori, il messaggio è altrettanto importante: le regole aziendali e di sicurezza vanno rispettate anche nell’uso dei dispositivi digitali, ma la privacy delle comunicazioni personali resta un diritto fondamentale, inviolabile e protetto anche in sede giudiziaria.

Clicca qui per avere una consulenza legale

Un team legale sempre a tua disposizione

Hai bisogno di assistenza legale o vuoi fissare una consulenza personalizzata? Il nostro team di esperti è pronto ad aiutarti con professionalità e rapidità.

Nome