Lo scorso dicembre la CGUE ha reso un interessante pronuncia (procedimento C-217/20) in tema di mantenimento della retribuzione delle ferie. Il caso si riferisce ad un lavoratore impiegato nell’amministrazione tributaria dei Paesi Bassi, risultato inabile per malattia prolungata, che aveva esercitato durante il medesimo periodo il suo diritto alle ferie annuali retribuite, ottenendo una decurtazione delle somme corrispondente a quella ottenuta in relazione alla malattia.
L’oggetto di interpretazione è sempre la diretta 2003/88 che ha rappresentato dalla sua approvazione un parametro di riferimento in materia di lavoro per i diritti di tutti i cittadini UE. In Italia, ad esempio, solo grazie all’intervento della Commissione europea si è potuta ripristinare la normativa tutelante della direttiva che era stata derogata solo per i professionisti sanitari, in molti ancora stanno chiedendo risarcimenti e i problemi della sanità pubblica non sono sicuramente stati risolti, ma quanto meno a livello comunitario la base normativa perché ciò avvenga già esiste.
Preliminarmente, la Corte ha voluto ricordare che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, stabilisce che ogni lavoratore deve poter godere di un periodo di almeno 4 settimane di ferie annuali retribuite, venendo adeguatamente tutelato dagli ordinamenti nazionali. Le finalità perseguite da questa disposizione comunitaria sono quelle di consentire al lavoratore di riposarsi rispetto all’esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro e altresì, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione.
Al fine di distinguere il periodo di ferie da altre forme di congedo come, ad esempio, quelle legate alla malattia che mirano a consentire al dipendente la guarigione, la Corte ha ricordato che il diritto alle ferie annuali retribuite presuppone pur sempre che il lavoratore abbia effettivamente svolto un’attività tale da giustificare il riconoscimento del beneficio.
Infine, si è osservato che l’espressione «ferie annuali retribuite» comporta che, per la durata delle «ferie annuali», la situazione retributiva debba essere mantenuta ad un livello paragonabile a quello dei periodi lavorati.
Qualora, il lavoratore non sia stato in grado di svolgere le proprie funzioni (ad esempio perché in congedo malattia), il diritto alle ferie annuali retribuite non potrà risentirne, neppure in termini monetari, poiché la malattia – e quindi la sopravvenuta inabilità al lavoro – deve essere considerata un evento del tutto imprevedibile e indipendente dalla volontà del lavoratore.
Per tali motivi, afferma quindi la Corte “il diritto di un lavoratore alle ferie minime annuali retribuite, garantito dal diritto dell’Unione, non può subire limitazioni per il fatto che il lavoratore non ha potuto adempiere il suo obbligo di lavorare a causa di una malattia durante il periodo di riferimento” poiché, qualora così non fosse (perché, ad esempio, la retribuzione fosse in qualche modo ridotta), costui potrebbe evitare di prendere il periodo di ferie annuale retribuito.
Ne consegue che, ai fini del calcolo della retribuzione dovuta, il lavoratore in congedo per malattia deve essere equiparato a quello in condizioni di effettivo lavoro, per cui “i diritti alle ferie annuali retribuite devono essere determinati, in linea di principio, in funzione dei periodi di lavoro effettivo svolti in forza del contratto di lavoro, senza tener conto del fatto che l’importo di tale retribuzione ha subito una riduzione dovuta a una situazione di inabilità al lavoro a causa di malattia”.
In conclusione, la Corte ha dunque statuito che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 impedisca a disposizioni e/o prassi nazionali di determinare l’importo della retribuzione riconosciuta per le ferie annuali ad un lavoratore inabile al lavoro a causa di malattia, prendendo in considerazione la riduzione, conseguente all’inabilità al lavoro, dell’importo della retribuzione che ha percepito durante il periodo di riferimento.